
La musica segue Lazzaro Felice
January 10, 2019C’è un preciso momento del film, nel terzo e ultimo atto, quando Lazzaro assieme al gruppo di straccioni, sentendo una melodia, aprono le porte di una chiesa per ascoltare meglio finché non vengono direttamente ripresi dalle suore, allarmandosi che aprendo la porta ora la musica uscirà da quella struttura.
Anzi, in qualche modo sembra che la stessa musica danzi attorno al personaggio di Lazzaro, così sciocco, infantile e dal quoziente intellettivo bassissimo. Un momento durante il film in cui sembra che la regista Alice Rohrwacher getti amabilmente la maschera a terra per quanto riguarda la ricerca di un baricentro narrativo. La storia di Lazzaro Felice è la storia di un piccolo paese di fine anni 80/inizio 90 popolato da individui che vivono in una bolla, comandati a bacchetta da una padrona distopica (e dispotica) che nega l’esistenza di un mondo civilizzato oltre quei campi.
Lazzaro è il tonto di turno. Cade. Forse muore. Si risveglia una decina di anni dopo e non è invecchiato, ma l’ingenuità è la stessa e armato solo di essa, esce dal paese ormai deserto. Tutti hanno capito il trucco della signora padrona, ma la città – Roma – offre ben poco e bisogna vivere in tuguri, rubare cibo o escogitare metodi per mangiare.
Del ritorno di Lazzaro e del suo non essere invecchiato di un giorno, nessuno se ne fa un problema, d’altronde l’impianto narrativo che volge lo sguardo alla fiaba diventa concreto e palese minuto dopo minuto. Poi si arriva così, con una porta aperta e la musica che fugge via.
In un film che ha sicuramente grosse difficoltà a tenere coesa tutta la struttura narrativa proprio per il fatto di raccontare un piccolo spicchio di una grossa e raffinata storia, non si può uscire indenni dalla visione, che riesce a fare del suo protagonista ingenuo il giusto capro espiatorio sia dei peccati del passato sia di quelli del presente, sempre fedele alla sua amicizia con il giovane Tancredi, ritrovato poi vecchio, povero e perso per un vassoio di pastarelle.
Ci si perde nei dettagli, nella forma a cui la Rohrwacher riesce a modellare le tante e piccole storie di paese tramite riunioni notturne, bicchieri di vino lasciati e metà e dolci da consumare soltanto in occasioni speciale. Eppure tutto ciò è finto, falso, strano da decifrare, quanto lo stesso Lazzaro, forse un fantasma che vaga trovando il suo posto in un mondo fin troppo violento e folle.
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