
Riguardare Il sesto senso vent’anni dopo
January 14, 2019Guardare Il sesto senso quasi vent’anni dopo la sua uscita è un esperimento interessante. A un certo punto, tutti i film horror devono fare i conti con il gusto del pubblico: quello che impauriva gli spettatori due decadi fa potrebbe non spaventare oggi.
I grandi film horror – che sono pochissimi – spaventano anche a distanza di anni. E non grazie agli effetti speciali, che lasciano il tempo che trovano: arriverà sempre l’effetto più convincente, più immersivo, più spettacolare, capace di spaventare lo spettatore di oggi, ma non quello di domani. Quando uscì L’esorcista, la gente fuggiva dalla sala sentendosi male. Oggi i ragazzini lo guardano con una certa agevolezza. Quando vediamo gli impiccati che pendono dal soffitto della scuola di Haley Joel Osment, oppure quando vediamo la condensa uscire dalla bocca dei vivi avvicinati da un morto, o ancora quando vediamo la ragazzina morta vomitare (ed è subito L’esorcista revival) non riusciamo a non pensare a quanto Il sesto senso sia datato.
Se l’effetto speciale non fa il film horror, o meglio, può fare la sua parte, ma solo sul breve-medio periodo, allora la capacità di generare paura va cercata in qualcos’altro. Questo qualcos’altro è la suspense, la capacità della storia di dire qualcosa anche a distanza di anni, e di tenere lo spettatore sul filo del rasoio anche quando questo è più che abituato a sventramenti e uccisioni cruenti. E la suspense è notoriamente il frutto di una sceneggiatura che funziona fin nei minimi dettagli.
Il problema di M. Night Shyamalan è sempre stato questo: buone intuizioni, scarsa scrittura. Anche Il sesto senso, che è uno dei suoi film migliori, soffre di una scrittura non perfetta. Lo si guarda a distanza di anni, si apprezza il finale a effetto, che poi è il marchio di fabbrica del regista, si liquidano gli effetti speciali come qualcosa di vecchio, e alla fine non si riesce a non notare le piccole ‘cose storte’ che disseminano il film, e che rendono sempre più difficile per lo spettatore sospendere l’incredulità man mano che passano gli anni: su tutti, l’episodio della cassetta consegnata al padre che ha perso la figlia. Sarebbe stata lecita una serie di dubbi da parte del padre: chi sei? Perché mia figlia ti ha affidato la cassetta? Perché ti aggiri timoroso al funerale di lei e sali in camera sua? Chi ti accompagna?
Il sesto senso dimostra tutti gli anni che ha: ed è una pecca che un film considerato un capolavoro non dovrebbe avere. Per prendere a esempio un film horror diametralmente opposto, basta guardare Il silenzio degli innocenti: solo i costumi ci dicono l’età del film (e quello è fisiologico). Il film di Jonathan Demme ha trent’anni, e li porta benissimo: non ha l’ombra di un cedimento e funziona ancora in maniera egregia; Hannibal Lecter popola i nostri incubi anche oggi. La materia che costituisce il Silenzio degli innocenti è obiettivamente ricchissima e sostenuta da fondamenta saldissime, con un antagonista, peraltro, che rimane all’altezza degli omicidi compiuti (se volete un esempio di un cattivo eccezionale che si dimostra mediocre dopo che abbiamo scoperto chi è, guardatevi M – Il mostro di Düsseldorf, che è un grande film, ma per altri motivi). Il finale de Il sesto senso sorprende ancora a distanza di anni, ma c’è da chiedersi se riesce a riscattare tutto il resto del film. La risposta è ovviamente negativa: diffidare sempre da chi abusa dei finali a effetto.
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