
TSFF30: Ritornare alla Berlino di Possession, passando per Trieste
January 19, 2019Il manifesto celebrante la trentesima edizione del Trieste Film Festival mostra Isabelle Adjani saltare la corda durante le riprese di Possession, capolavoro indiscusso del regista polacco Andrzej Zulawski. L’attrice si gode la sua pausa così, tenendosi in esercizio per quel ruolo così sfiancante (basti pensare la scena nella stazione della metropolitana, ma sono tantissimi i momenti in cui prevale una recitazione che più “fisica” non si può). Lo scatto della fotografa Dominique Issermann si fa notare per un’altra componente, di fianco all’Adjani: il Muro di Berlino. Alto, minaccioso, triste, lugubre, architettonicamente fuori luogo.
Trieste festeggia quindi le trenta edizioni e gli altrettanti anni dalla caduta del Muro, eretto un ventennio prima alle riprese di Possession. Si può partire da qui per una considerazione, ancora, su quello che è un film studiatissimo, ampiamente analizzato, passato sotto il radar degli accademici, cinefili casuali, studenti, critici, fan dell’horror (anche se sarebbe riduttivo inscatolarlo solamente all’interno di questo genere).
Il tema della dualità è quello più evidente nell’opera di Zulawski. Opera in senso lato perché la sua filmografia ha le sembianze di un’unica grande creatura che cambia pelle da pellicola a pellicola, facendo della metamorfosi il punto d’unione che lega insieme tutti quanti i titoli. Lo si capisce anche andando a ritroso, da quel testamentario Cosmos che arriva come epilogo insperato a quindici anni di distanza dall’ultimo lavoro dietro la macchina da presa. Una poetica variatio sugli stessi argomenti: forze ingovernabili e distruttive, come le relazioni sentimentali o l’arte. Anche un altro cineasta dalla Polonia, Jerzy Skolimowski, ha fatto qualcosa di simile ritornando sulle scene nel 2008 senza aver fatto più nulla per il cinema dal 1991 (solo dipinti in quell’arco temporale), ma è un’altra storia.
La terza parte della notte e, soprattutto, Diabel non si portano dietro lo stesso carico “mitico” di Possession, adorato da pressoché tutti, ma sul piano dell’orrore generato dall’uomo e della destabilizzazione non hanno nulla in meno. Che sia la Seconda Guerra Mondiale, la fine del ‘700 o il presente, che sia una foresta innevata o un borghese interno berlinese, oppure che in gioco ci sia la propria sopravvivenza o quella degli altri, poco importa: le coordinate su cui si muovono le storie di Zulawski sono il caos e il desiderio di morte. E marciano di pari passo.
Sulla dualità in Possession, si diceva. Protagonisti che nella vita hanno un loro doppio più stabile e rasserenato, ma anche una doppiezza insita in loro stessi. In ballo c’è la divisione di ciò che è Uno, ossia la volontà a non far convivere nella propria mente due poli distinti ed estremi che fanno parte del Sé e che non posso essere espunti, soffocati.
La crisi della coppia diventa una crisi che è tedesca, ma innanzitutto europea. La capitale, tagliata in due, separa popoli e crea mondi lontani e inaccessibili sia per una parte sia per l’altra, andando così a creare mondi diversi, scenari politici incompatibili. Tante sono le chiavi di lettura per Possession, che sarà per sempre indecifrabile.
“Our situation is like a mountain lake we are trying to swim in, starting from different shores”.
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