TSFF30: Touch Me Not, tra feticismo e conoscenza di sé

TSFF30: Touch Me Not, tra feticismo e conoscenza di sé

January 23, 2019 0 By Simone Tarditi

Touch Me Not fa parte di quei film ascrivibili al calderone del “purché se ne parli”. È stato indigesto a molti e divisore di opinioni sia tra il pubblico sia tra i critici fin dalle sue proiezioni alla 68ma Berlinale dove sorprendentemente vinse poi il premio più importante, l’Orso d’oro, superando titoli come Dovlatov o L’isola dei cani (che tuttavia portarono a casa altri ursidi metallici), ma il trionfo su un palcoscenico così importante come quello ha fatto sì che il passaparola marciasse al pari passo dei successivi festival che l’hanno ospitato. Un anno dopo, con una programmata uscita nelle sale italiane il giorno di San Valentino (scelta diversamente azzeccata), Touch Me Not si ritaglia il suo spazio anche alla 30ma edizione del Trieste Film Festival e al quarto Fish&Chips di Torino. Pressoché contemporaneamente.

Una storia di peli, epidermide, corpi tatuati, corpi che si gonfiano d’aria, corpi purificati. Una storia di acqua e sperma, lenzuola calde, vite sotto vetro, energia e respiri, esperienze tattili fatte da creature malformi, creature glabre, creature umane. Creature invalide, disabili, malate. Creature che imparano a conoscersi, che desiderano scoprire qualcosa di più sul proprio corpo, che provano a interpretare sogni e che s’illudono di conquistare la libertà (cos’è, alla fine?). Una storia di sedute terapeutiche e di feticismo per le lacrime. C’è Brahms, c’è Beethoven e non manca neppure una sequenza (quasi) alla Cruising di William Friedkin, tra BDSM e sottomissione.

Girato in Romania, il lavoro di Adina Pintilie non è facilmente categorizzabile e forse non è un merito. Come documentario non funziona e ne rifugge la definizione standard (troppa interpolazione, da parte dell’autrice, rispetto a ciò che vuole mostrare; in questo senso, un Werner Herzog sarebbe dalla sua parte, sostenitore com’è della funzione “creatrice” dei registi anche quando hanno a che fare con la realtà e non solo con la finzione). Come film, in senso stretto, neanche, perché la narrazione procede priva di direzioni, confondendo su ciò che sia dal vero e ciò che sia posticcio. Touch Me Not forse non è neanche cinema, ma un ibrido tra video-arte ed esperimento potenzialmente senza fine. Ciononostante, può destare interesse.

Quel su cui, a visione terminata, ci si sofferma è una considerazione che in Touch Me Not è marginale: il sesso. L’opera, idealmente, genera infatti una repulsione verso l’erotismo e le sue leggi. Senza fargliene una colpa perché è evidentemente un effetto voluto, viene però da domandarsi quale sia il fine ultimo. Indagine? Desiderio di catarsi? Semplice collezione d’immagini? Ognuno fornirà la sua risposta. Potrebbe anche solo essere un tassello all’interno di un quadro più grande. Potrebbe anche essere sufficiente così.

Touch Me Not recensione film

Simone Tarditi