
TSFF30: Meeting Gorbachev, intervista ad André Singer
January 26, 2019L’atteso film d’apertura del trentesimo Trieste Film Festival è stato Meeting Gorbachev, documentario diretto da Werner Herzog e André Singer sul celebre politico sovietico il cui nome lo si lega tanto alla fine della Guerra Fredda quanto a quella dell’URSS. Vicino al popolo più di quanto altri prima o dopo di lui sono stati in grado di fare, Gorbachev è uno dei personaggi chiave del Novecento intero, sul piano internazionale e non solo di quello russo.
Il lavoro del duo Herzog-Singer, in tal senso, mira a essere il ritratto di un uomo che è in primis il figlio di contadini, quindi fattosi strada nel mondo della politica senza privilegi di sorta, e in secondo luogo uno statista. Non si può delineare un onesto quadro di una figura così complessa senza tener conto di cosa nasconde nel suo animo, pieno di fragilità quasi quanto la sua attuale condizione fisica.
I due registi si recano a Mosca in tre momenti diversi per condurre un’intervista che possa spaziare lungo tutta la vita di Gorbachev, dall’adolescenza vissuta durante la seconda guerra mondiale fino all’oggi, un presente fatto perlopiù di solitudine ad eccezione per le attività che la sua associazione porta avanti nel campo del sociale. Meeting Gorbachev è un tassello particolare all’interno della carriera del cineasta tedesco anche grazie a un’autoreferenzialità di fondo che non finisce con l’essere elemento “alieno”, tutt’altro. Herzog si presenta al suo interlocutore, tira fuori aneddoti come quello della camminata a piedi lungo l’Europa per la riunificazione tedesca, parla di sé. Addirittura, a un certo punto inserisce anche lo spezzone di un suo documentario, Lessons of Darkness. Intimo quando il discorso sfiora l’argomento della defunta Raisa, dai toni vagamente comici quando vengono tirati in ballo i coreografati funerali dei presidenti sovietici (senza dimenticare, più avanti, il broadcast televisivo delle lumache), Meeting Gorbachev non assomiglia a nessun altro film di Herzog. Questo perché la sua naturale predisposizione allo spaziare su temi molto distanti tra loro viene equilibrata dal pragmatismo di una persona come Singer, il cui Night Will Fall -per asciuttezza e disciplina, nonché per sapiente uso delle fonti- non è così dissimile da Meeting Gorbachev.
L’incontro con André Singer, l’indomani della proiezione al Politeama Rossetti che ha inaugurato la 30ma edizione del Trieste Film Festival, ha permesso di conoscere svariati retroscena sia sul suo film sia sulla sua attività di produttore ancor prima che regista.
Com’è iniziata la tua carriera nel mondo dei documentari?
Sono un antropologo, la mia formazione primaria non è stata quella di regista. A un certo punto però mi sono reso conto che non ero adatto per lavorare in campo accademico, così un giorno ho risposto a un annuncio come consulente di Antropologia per un film televisivo in Regno Unito. Da quel momento ho passato molti anni in quel campo, facendo da ricercatore per una serie di documentari della tv, tra cui uno molto famoso chiamato Disappearing World. Dopo i primi tempi ho però voluto iniziare a fare i miei film piuttosto che trovare del materiale per conto di qualcun altro. Granada Television mi ha insegnato come diventare regista e dopo quest’altra fase della mia carriera sono approdato alla BBC, che decise di affidarmi la produzione e la regia di film che poi sarebbero stati trasmessi su quei canali. Ho conosciuto allora decine e decine di filmmakers sparsi per il mondo a cui commissionavo la realizzazione di documentari. Ricoprivo un ruolo meraviglioso: avevo alti budget da distribuire e grande libertà.
Tra questi registi con cui sei entrato in contatto ci sarà stato anche Werner Herzog …
Sì, nel 1989. Volevo fare un documentario sull’invasione del Kuwait, cioè sulla fase che ha preceduto la Guerra del Golfo. Werner aveva idee simili alle mie, desiderava anche lui filmare quella regione, soprattutto per via dei pozzi petroliferi in fiamme. L’abbiamo fatto ed è diventato Apocalisse nel deserto (Lessons of Darkness, 1992).
In “Meeting Gorbachev” avete, tra l’altro, utilizzato una clip di quel documentario.
Sì, esatto. Sia perché ci serviva nella narrazione di quell’epoca sia per celebrare quel primo film che abbiamo fatto insieme. Già da prima del 1989 ero un suo fan, ho sempre apprezzato enormemente i suoi lavori e, quando si è trattato di collaborare insieme, ci siamo trovato immediatamente a nostro agio.
“Meeting Gorbachev” è però il primo documentario di cui siete entrambi registi.
È stato leggermente diverso rispetto agli altri. Nel 2014 ho fatto Night Will Fall e dopo la sua uscita mi è stato proposta da una casa di produzione tedesca l’opportunità di girare un documentario su Gorbachev. All’inizio Werner non faceva parte di questo progetto e io sono andato da solo a Mosca, ho conosciuto Gorbachev, nonostante il suo stato precario stato di salute, e il suo team. Una volta lì ho capito che non potevo fare una semplice serie d’interviste all’ex leader russo, bisognava creare qualcosa di più grande e complesso, così ho pensato a Werner dal momento che siamo entrambi interessati alla Guerra Fredda. Fortunatamente, Werner non solo non aveva nessun film imminente da realizzare, ma da giovane era stato uno dei sostenitori della riunificazione tedesca e ai tempi aveva fatto una serie di proteste. Per Meeting Gorbachev allora ci siamo messi d’accordo: lui avrebbe condotto le interviste al protagonista del nostro documentario, io tutte le altre; una volta raccolto il materiale ci saremmo riuniti per montarlo e dare una forma a tutto quanto.
Il documentario è perfettamente in equilibrio tra il tuo rigore molto inglese, come hai dimostrato in “Night Will Fall”, e lo stile di Herzog, che brillantemente si sposta da un argomento a un altro senza mai perdere le coordinate delle storie che sta raccontando.
Werner è una persona il cui cervello funziona in maniera diversa rispetto a quello dell’altra gente. Pensa alle cose in maniera originale. È un temerario perché certe domande che ha fatto a Gorbachev io non avrei mai avuto il coraggio di farle, per esempio quando gli ha chiesto cosa vuole che sia scritto sulla sua lapide.
A questo proposito, il tema della morte corre lungo tutto il vostro documentario. Con toni assolutamente non tragici come nel caso dei molti funerali di capi di stato sovietici, ma anche con una grande dose di empatia nei confronti di Gorbachev quando si parla del decesso di sua moglie Raisa a cui era legatissimo.
Quella su Raisa è una parte molto importante del film e l’abbiamo saputo fin dall’inizio perché, nonostante il suo ruolo sulla scena politica mondiale, noi volevamo soprattutto parlare di Gorbachev come essere umano, la sua personalità. Per fare una cosa simile bisogna entrare nella sua vita privata e Raisa è sempre stata fondamentale in questo senso. Quel che io spero è che la gente metta da parte il giudizio politico e si concentri su di lui come individuo.
Tornando a “Night Will Fall”, come ti sei avvicinato a quel progetto?
Me l’ha proposto una produttrice che aveva avuto la possibilità di osservare da vicino il restauro del documentario curato da Hitchcock sull’Olocausto e che mai era stato proiettato. Ha pensato che si potesse tirare fuori una grande storia, ma che servisse un budget adeguato, così me ne ha parlato visto che la mia casa di produzione aveva il potenziale per realizzarlo. Allora ho guardato quei filmati scioccanti girati nei campi di concentramento e ho iniziato a pensare al fatto che servisse un regista talentuoso per poter fare un documentario su quella vicenda. È stato un po’ lo stesso ragionamento che ho avuto per Meeting Gorbachev. L’ho proposto a Paul Greengrass e Michael Apted, ma per motivi diversi nessuno dei due poteva. Ho deciso a quel punto di dirigerlo io perché era una storia troppo importante perché nessuno la raccontasse. Raccogliere abbastanza soldi per potere completare Night Will Fall non è stato semplice, nei titoli di coda si può vedere chiaramente quante associazioni, emittenti e case di produzione sono state necessarie. Sono soddisfatto del risultato raggiunto, è stato e probabilmente sarà il progetto più grande della mia vita anche perché sta continuando a destare interesse ancora oggi.
Tornando a Herzog, un altro straordinario documentario su cui hai lavorato in veste di produttore è “Into the Inferno”. Su IMdB è segnato un altro progetto in lavorazione, “Fireball”. C’è un legame?
Sì, proprio in questo periodo stiamo cercando di realizzarlo perché Werner e lo scienziato Clive Oppenheimer si sono trovati molto bene durante le riprese di Into the Inferno. Clive ha fatto numerose altre ricerche in questo lasso temporale, non più sui vulcani, bensì sugli asteroidi. Dal punto di vista cinematografico questo presuppone un approccio differente da Into the Inferno perché non si possono avere immagini altrettanto suggestive e potenti come quelle delle eruzioni, pertanto ci concentreremo sull’impatto degli asteroidi sul nostro pianeta e sulle leggende che gli umani hanno creato su queste rocce, come nel caso della Pietra Nera presso La Mecca, oppure sui disastri avvenuti in Siberia, Giappone, nell’Antartico. Ci sono talmente tante storie sugli asteroidi che Werner e Clive, dopo i vulcani, hanno pensato di affrontare questo argomento.
(Intervista ad André Singer realizzata da Simone Tarditi il 19/01/2019 nell’ambito del 30° Trieste Film Festival)

André Singer, regista di “Meeting Gorbachev”, e Simone Tarditi
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