True Detective 3 è riuscito a metà

True Detective 3 è riuscito a metà

March 5, 2019 0 By Francesca Sordini

Abbiamo visto la terza stagione di True Detective con un’aspettativa limitata dalla goffaggine della seconda stagione. È andata bene, tutto sommato: Nic Pizzolatto torna alle origini, e sceglie una storia di sicura presa sullo spettatore. Due bambini che scompaiono è sempre un buon combustibile per accendere l’interesse, e diventa più difficile staccare gli occhi. Succedeva in True Detective 1, con una quinta puntata apice di tutta la stagione, capace di superare anche il finale, seppur bellissimo, con uno dei cattivi da thriller più convincenti di sempre.

Non accade così, ahimè, in True Detective 3: proprio con la quinta puntata, la stagione comincia a perdere la bussola e a non gestire perfettamente i tre piani temporali della vicenda: le indagini sulla scomparsa dei fratelli Purcell, la riapertura del caso dieci anni dopo, e le indagini private del detective Hays nel 2015. Il finale della quinta puntata, con Hays (Mahershala Ali, perfettamente calato nel ruolo) e West (più spalla che vero coprotagonista) anziani che si rincontrano dopo anni, ha un retrogusto da ospizio che stona del tutto con i primi quattro episodi, capaci di dosare sapientemente la suspense.

true detective 3 recensione

Da quel momento in poi i tre fili temporali si accartocciano: la scrittura diventa approssimativa, seminando dubbi e incongruenze. Insomma, non è possibile che solo dopo vent’anni si scopra che il padre era un omosessuale latente, e che frequentava locali non proprio battuti dai redneck degli anni ’80 del profondo Arkansas (i primi su cui s’indaga sono sempre i parenti). Non è possibile che il guercio afroamericano, acquirente di decine di bambole di paglia, sparisca dai radar dopo uno spauracchio (il tizio abita in una zona off limits per i bianchi, figurarsi per un poliziotto nero che ha fatto carriera in mezzo ai caucasici).

Non sembra neanche lineare lo scambio di informazioni sull’indagine tra Hays e la moglie Amelia (Carmen Ejogo), che sembra ben più avanti di lui: soprattutto quando, dieci anni dopo, decide di interrogare la migliore amica della signora Purcell, e alla fine scopre che il guercio c’entra davvero. Poco plausibile, inoltre, che Hays capisca il raggiro delle suore da una presunta apparizione della moglie, e che non abbia vuoti di memoria quando si trova in compagnia di West.

Dettagli che non stanno a posto, ma che convergono forzosamente nel finale, in cui i due vecchietti finalmente rintracciano il guercio, e si fanno raccontare quello che è successo davvero a Will e Julie Purcell. Storia altrettanto debole, perché in qualunque momento sarebbe stato troppo facile ritrovare la ragazza. La madre avrebbe potuto vuotare il sacco subito, senza eccessive conseguenze per tutti. Soprattutto, non si può far morire Will Purcell per un banale incidente. Non dopo le bambole, le indagini, il signor Woodard e i teppisti della scuola, abbandonati a loro stessi dopo qualche puntata. Non è corretto nei confronti dello spettatore. Aspettiamo con ansia la quarta stagione.

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Francesca Sordini
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