
Cruising di William Friedkin, l’ambiguità della coscienza
April 30, 2019Poche pellicole sono controverse quanto Cruising di William Friedkin. Censurato, osteggiato, criticato, ostracizzato. Tagliato in fase di montaggio. Privato della identità che le spettava. Cruising è una discesa negli inferi, a partire dal titolo stesso: “andare a zonzo”, ma anche “andare a uomini”, o meglio “cacciarsi nei guai”. Le tre definizioni racchiudono il significato dell’opera, con una ulteriore, sottile specifica: quando la discesa negli inferi è, prima che spaziale, nei confronti della propria coscienza, le conseguenze possono essere terribili, anche cataclismatiche.
L’agente di polizia dall’evocativo nome di Steve Burns (Al Pacino, e nessun altro avrebbe potuto interpretare il ruolo con tanta distaccata partecipazione) viene incaricato di infiltrarsi nell’ambiente gay per scovare un killer seriale di omosessuali appartenenti al giro BDSM. Steve Burns, un ometto dal volto impassibile con lo sguardo attraversato da una impalpabile ambiguità, si allontana dalla sua vita e dalla sua compagna per immergersi nella periferia newyorkese, mutando progressivamente nell’ aspetto e addobbandosi di latex per uniformarsi agli altri frequentatori dei locali.
Friedkin trasse ispirazione da fatti di cronaca realmente accaduti, e tramite alcune, insospettabili conoscenze (si recuperi il notevole Friedkin Uncut, visionato a Venezia 75) ebbe possibilità di accedere al circuito dei locali sadomaso e portare in pellicola un ritratto verosimile dell’ambiente, perfettamente in linea col piglio realistico, quasi spregiudicato, della messa in scena delle sue opere (le sequenze di falsificazione del denaro in Vivere e morire a L.A., il lisergico inseguimento d’auto ne Il braccio violento della legge). Immortalare su pellicola le attività ricreative BSDM ha causato a Friedkin non pochi problemi, ottenendo due principali conseguenze: un uragano di polemiche che ha monopolizzato l’opera, impedendo al cuore pulsante di Cruising di emergere con la dovuta dignità, e una serie di tagli che hanno decurtato il film di circa 40 minuti, denaturandone l’intera struttura.
Presentato oggi, Cruising non avrebbe gli stessi problemi che dovette affrontare negli anni Ottanta, nel periodo in cui nel mondo gay aveva cominciato a diffondersi l’AIDS e il cinema non aveva ancora portato sullo schermo la realtà omosessuale. La comunità gay, vedendosi rappresentata come gente libertina, intenta solo a rimorchiare e oliarsi gli avambracci per il fisting, si ribellò non poco alla liceità dell’opera. Questo è di certo un modo per descrivere Cruising: un viaggio nella metà oscura della grande mela, quasi una partita a scacchi con Abel Ferrara per contendersi la meticolosità del marciume rappresentato (Il cattivo tenente, King of New York), con piani sequenza notturni e camera a mano, e l’inevitabile, ribollente impulso documentaristico (o voyeuristico, per l’insaziabile curiosità dello sguardo registico di Billy Friedkin) nei confronti di uno spicchio di mondo che corre sotterraneo a quello visibile, moraleggiante, di superficie.
L’altro modo, complementare, per discorrere di Cruising, è comprendere l’allegoria di quanto viene narrato, correlarla alla filmografia di William Friedkin e penetrare il cuore pulsante dell’opera, che la sovrabbondanza di cadaveri e arti amputati e perversioni sessuali adombra con prepotenza. Parlare dell’ambiguità nello sguardo di Steve Burns è raccontare la natura umana nella visione di Friedkin, la impossibilità di conoscersi, di fidarsi della propria coscienza.
Burns, dalla vita apparentemente ordinaria, viene a contatto con una serie di tasselli del mondo alieno, come fossero piccoli, reiterati riti di iniziazione che lo costringono a far luce su aspetti della propria identità fino a quel momento ignorati, volutamente o meno. La rabbia, l’istinto alla violenza, l’impossibilità di discriminare la giustizia della legge dall’abuso di potere (Serpico, Quel pomeriggio di un giorno da cani), l’irresistibile, controversa attrazione per il proprio sesso, fino a quel momento sconosciuta.
L’identità sessuale, apoteosi della complessità della coscienza, è liquida, mutevole, un oggetto ingombrante, poco maneggevole: l’intera indagine di Steve Burns è un continuo rapportarsi ad un dogma, un preconcetto, una definizione di mondo, per sistematicamente sgretolarne le fondamenta, rielaborare nuove definizioni, una nuova idea di morale, spesso perversa, in cui tuttavia riscoprirsi liberi, ed infine riconoscersi in una identità aliena, forse ripugnante, ma irrimediabilmente sincera.
Che il viaggio agli inferi abbia rappresentato per il morbido agente un enorme, irreversibile trauma, oppure la liberazione dal vincolo di un’etica sovraimposta, è impossibile dirlo: l’effetto più spiacevole del Cruising moncato dalla post produzione è proprio la (relativa) atarassia di Steve Burns, la cui dimensione psicologica è soltanto accennata, quasi rifiutata, fornita allo spettatore sotto forma di sguardi, espressioni impassibili, rarissimi dialoghi, mai davvero qualcosa che rafforzi l’idea di una volontà di potenza.
In questo panorama esperienziale, l’universo notturno suburbano si eleva ad allegoria della psiche del protagonista (le amatissime allucinazioni di Taxi Driver), e quell’ambiguità che attraversa il film s’impone allo sguardo non solo in merito alla giustizia, non solo nei confronti della propria identità, ma del tessuto stesso del mondo: il serial killer, mostrato sin dai primi minuti del film, è personificato da attori diversi nel corso della vicenda, le indagini presentano intoppi o voli pindarici sospetti, tutta la pellicola sembra anzi inafferrabile, continuamente mutevole: sfugge allo sguardo, ad ogni comprensione, alla legittimazione del senso, lasciando che l’essenza irrazionale, demoniaca, che governa ogni cosa, intrappoli lo spettatori e ne confonda le idee (la coeva filmografia di Dario Argento è un esempio illustre di questo meccanismo di narrazione).
Chiunque sia il colpevole, restano i pezzi di cadavere trovati nel fiume Hudson. Resta una torbida storia di gelosia tra l’agente Steve Burns e il suo vicino di casa. Resta il cadavere di tale vicino di casa rinvenuto nell’appartamento alla fine del film, dopo che il serial killer è stato arrestato. Resta lo sguardo in camera di Steve Burns che, tornato alla vita di sempre, ha forse incarnato l’eredità del killer, nell’ultimo, estremo atto di vita autentica (?).
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