La parabola mistico-religiosa di Sunshine

La parabola mistico-religiosa di Sunshine

May 9, 2019 0 By Gabriele Barducci

In qualche modo, le intenzioni di Danny Boyle attorno a Sunshine, film firmato nel 2007, erano palesi sin dalla sua diretta promozione con chiare ed esplicite influenze: Alien, Solaris e 2001.

Interessante il progetto che prendeva spunto dai classici disaster movie dove una spedizione umana viaggiava tra le stelle per salvare la Terra. La minaccia a questo giro viene dal Sole che in un futuro non troppo lontano, rischia di spegnersi definitivamente, minacciando una seconda Era Glaciale sulla Terra e diretta estinzione del genere umano.

Tutto perfettamente in linea con il film, tanto da toccare anche corde semi horror che sembrano rifarsi al cult Event Horizon, con l’ospite spaziale indesiderato, ustionato a contatto con qualcosa di “divino”.
Proprio qui Sunshine svela un lato mistico-religioso incredibilmente prezioso, atto ad arricchire tutta la struttura narrativa, forza distanziandosi fin troppo dalle intenzioni space adventure, per evolvere in qualcosa di più complesso e che il pubblico ha ripagato con un sonoro flop al boxoffice, con lo stesso Boyle che si disse frustrato di aver speso così tanto tempo in un film a cui teneva in particolare che non è stato assolutamente recepito dal pubblico pagante.

sunshine recensione

Come prassi per il genere, per diversi motivi, interni ed esterni della nave, i membri dell’equipaggio vengono decimati, ma c’è un elemento che serpeggia tra gli uomini e le donne a bordo, il dubbio che il destino catastrofico a cui la Terra sta andando contro, forse è volere di un Dio. Cosa e chi è l’uomo per mettersi contro tale decisione?
A peggiorare la situazione, quello che sembra una sorta di culto sul Sole. Tanti personaggi passano ore in una stanza speciale per filtrare e osservare nella sua bellezza la luce – prossima a spegnersi – del sole. In quel globo infuocato forse c’è la risposta alle domande essenziali dell’uomo: la vita, la morte, l’esistenza sulla Terra e nello spazio, tutto è racchiuso lì.

Essenziale ed emblematica sarà la scena della morte del capitano della nave, Kaneda; Esce sulla paratia della navicella per ripararla da un guasto, ma la tuta pesante atta a difendere l’equipaggio dai raggi solari è troppo pesante.

Una grande ondata di calore sta raggiungendo la nave e il capitano realizza di non avere tempo materiale per fare dietrofront e salvarsi la vita. Salva il suo sottoposto, si gira vero l’avanzata di calore e cerca di scrutare qualcosa, mentre un membro dell’equipaggio dalla radio di bordo chiede insistentemente “Kaneda, cosa vedi?”.
Silenzio, mentre il capitano muore nello spazio. Egli ha visto qualcosa, ma ciò che ha visto non è destinato ad essere osservare a occhio nudo, quindi impossibile trovare aggettivi per descrivere qualcosa di così inarrivabile.

Sembra, in parte, una grande metafora di questo film: forse uno dei più sottovalutati della scorsa decade cinematografica e consigliarlo ad altri è difficile senza entrare nel dettaglio.

Gabriele Barducci
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