
Cannes72: Dogs Don’t Wear Pants, affondare nel mondo BDSM
May 22, 2019“I don’t like ordinary stuff.”
Nelle primissime scene di Dogs don’t wear pants, film finlandese di J-P Valkeapää presentato al 72mo festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, il protagonista si fa beffa di un luccio morto che ha appena pescato e che verrà cucinato durante un pranzo di famiglia. La quiete di un giorno di vacanza, il tempo dedicato alla lettura, i fiori raccolti per adornare i capelli. Poi tutto precipita, la moglie affoga nel lago dopo essere rimasta impigliata dentro delle reti e la vita -per com’era conosciuta- finisce di colpo.
I due film non potrebbero essere più lontani, ma l’incipit di Dogs don’t wear pants ricorda quello di Un borghese piccolo piccolo nella misura in cui il karma opera senza distinzioni nel regno animale (uccidere, veder ucciso). Se l’incubo narrato da Mario Monicelli sfiora in più momenti i toni della commedia (su tutte, la scena della loggia massonica), è nulla in confronto alla catena di situazioni buffe e al limite dell’assurdo nelle quali si viene a trovare il vedovo di Dogs don’t wear pants: anni dopo l’incidente, il padre accompagna sua figlia a fare un piercing alla lingua e, nell’attesa, conosce una dominatrice che lo porterà con sé nell’universo BDSM.
Frustate, asfissia, piacere nel provare dolore, regressione a uno stadio bestiale diventano per l’uomo una serie meccanizzate di azioni sempre simili che gli servono a espiare il senso di colpa per non essere riuscito a salvare la sua partner, arrivando persino a sfiorare il proprio decesso per poter entrare in contatto con lei nel regno dei morti. Non solo è tutto inutile, ma il pervertimento avrà delle conseguenze inaspettate. Una storia di pesci fuor d’acqua.
Film volutamente imperfetto, in qualche modo unico e bellissimo, Dogs don’t wear pants è quel che si otterrebbe se si frullassero insieme Phantom Thread, La La Land, You Were Never Really Here, Bug, Cruising e poi passasse Lars von Trier a spremere qualche goccia del suo talento nel miscuglio così ottenuto. Una commedia sulle zone d’ombra della sessualità e sul venire a patti con l’aver perso qualcuno che non si può riportare in vita può cercare di dare una risposta all’interrogativo su cosa sia la normalità e contemporaneamente mostrare qualcosa di anormale facendolo sembrare tutt’altro che strano? Questa è la sfida che il regista affronta, riuscendo perfettamente nel suo intento. Un plauso ai due interpreti, soprattutto all’attrice Krista Kosonen apparsa di recente anche in Blade Runner 2049.
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