
Il Cinema Ritrovato 2019: State Fair di Henry King, la giostra della vita
June 24, 2019Quasi cinquant’anni di carriera (dal 1915 al 1962) e un centinaio di pellicole dirette insieme ad altrettante interpretate agli albori del cinema: il lascito del regista Henry King è inversamente proporzionale all’importanza che la storia gli ha tributato. Spesso ricordato solo per la sua prolificità in termini di film girati, King è uno di quei cineasti hollywoodiani che è doveroso riscoprire e che merita di essere annoverato tra i grandi di quel periodo, motivo per cui l’averlo omaggiato con una retrospettiva al Cinema Ritrovato è stata un’iniziativa lodevole quant’altre mai.
A tal proposito, State Fair (nella versione italiana, Montagne russe) è uno di quei titoli che altrimenti non sarebbe stato così semplice recuperare. I Frake, famiglia di allevatori, si recano alla fiera più importante dell’Iowa per trascorrervi una settimana all’insegna di competizioni gastronomiche e attrazioni da luna park, scoprendo aspetti inediti della vita, incontrando persone destinate a trasformarla. In sostanza, legami si consolidano (quelli tra genitori) e nuovi ne nascono (quelli dei loro due figli con i rispettivi partner). A cementare il rapporto tra questi quattro individui è Blue Boy, un gigantesco maiale bianco e nero che farà vincere al suo padrone il primo premio per il suino più grosso e robusto. Gente semplice, di campagna, lontana dall’alta società e proprio per questo meno presuntuosa dell’urbanizzata borghesia.
State Fair procede nella maniera più lineare possibile con accampamenti e tende come ai tempi dei pionieri nella corsa all’Ovest, baci rubati, il fratello della protagonista (Janet Gaynor) che perde la verginità assieme a una trapezista, corse di cavalli, gare culinarie per i migliori cetrioli o la più saporita carne macinata, la gioia per veder premiati i propri meriti e quindi finire sul giornale locale, infine il ritornare a casa più ricchi (di esperienze), ma più tristi e con un velo di morte nel cuore quando la festa è finita (perfetto contraltare dell’entusiasmo durante il viaggio di andata, con l’alba che emerge tra i campi di granturco e l’impressione di essere le ultime persone rimaste sulla Terra).
Può far strano scoprire che State Fair sia stato nel 1933 uno dei maggiori incassi al botteghino nonché uno dei candidati agli Oscar come Miglior Film, ma questo è quanto. Nel vederlo oggi per la prima volta, oltre ad apprezzare pienamente lo stile e le invenzioni registiche di King (i molti carrelli accompagnati dai long take, i tagli di montaggio sui volti degli imbonitori al parco divertimenti, l’aver tirato fuori Benito Mussolini all’interno di un dialogo sul giornalismo e, successivamente, l’aver ritratto il presidente della giuria con un aspetto simile ad Adolf Hitler, etc.), l’elemento forse più interessante è quello relativo alle cure del pater familias (interpretato da Will Rogers, che sempre alla Fox lavorerà in più di un’occasione con John Ford e James Cruze) per il suo maiale che per anni ha messo all’ingrasso, a cui pettina il pelo con la spazzola della moglie (!), al cui fianco dorme e a cui parla per confidarsi come con un amico (viene in mente Okja, a voler citare un film recente con qualche remota affinità, oppure Go West di Buster Keaton rimanendo al secolo scorso). Sensibilizzazione umana nei confronti del regno animale (che poi è la stessa cosa), ma non tale da far scattare nella testa degli spettatori dell’epoca -nonché di oggi anche se sicuramente meno di ieri- che un giorno Blue Boy diventerà materiale per salsicce e come lui, ogni anno, milioni di altri porci.
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