Ricordi Jackie Brown?

Ricordi Jackie Brown?

July 4, 2019 0 By Emilio Occhialini

Inquadratura fissa su un muro piastrellato, tante piccole piastrelle che vanno a comporre un mosaico di sfumature bluastre e azzurrine.
Il tema di Across 110th Street è già partito. Siamo ancora fermi sul muro finché non entra in campo da destra Jackie Brown col suo completo blu accesso da hostess, così ora la camera inizia la sua lunga e lenta carrellata verso sinistra accompagnando Jackie immobile sul marciapiede mobile. E’ la primissima inquadratura di Jackie Brown, è la prima citazione cinefila nel film (al Laureato di Nichols), ed è il primo grande omaggio a Pam Grier che il regista articola attraverso una serie di inquadrature che, sempre sulle strofe di Bobby Womack, mirano ad esaltarne tutta l’iconicità da ex-diva del cinema blaxploitation.

Continuiamo a seguirla per l’aeroporto finché ad un certo punto Jackie non fugge dal campo, la camera continua a starle dietro ma il suo passo è più svelto e affrettato. Così dopo questo magnifico elogio il tono spettacolare si attenua e ci riporta al piano della realtà: Pam Grier è Jackie Brown, una donna di 44 anni, ancora in ritardo all’ennesimo giorno di lavoro come impiegata per una compagnia aerea di seconda mano. A due anni e mezzo dall’acclamato successo di Pulp Fiction, opera seconda che lo consacrò a livello internazionale come uno dei registi più promettenti della nuova leva, Quentin Tarantino con questo Jackie Brown spiazzò un po’ tutti, vuoi per la struttura più “classica”, vuoi per i toni più realistici e drammatici dai risvolti sorprendentemente melodrammatici, vuoi per essere una prima (e ultima) sceneggiatura non originale, vuoi per tanti altri motivi.

jackie brown

A ventidue anni dall’uscita, questa terza opera rimane un titolo ancora troppo poco menzionato quando invece è da considerarsi fondamentale, tassello imprescindibile della maturità nell’affinamento tecnico di un regista e sceneggiatore che ha sempre pensato il cinema come un omaggio al cinema stesso, organismo ipertestuale che si ripensa e riformula continuamente in tutte le sue potenzialità.
Jackie Brown è un film dovuto, prima e ultima incursione che Tarantino pensa da un testo non suo, dal romanzo Punch al rum di Elmor Leonard, scrittore americano prolifico per più di tre decadi, maestro di intrecci e dialoghi, quei dialoghi lunghi estrapolati dalla banale quotidianità della vita americana che avrebbero tanto appassionato e influenzato un giovane Tarantino.
Omaggiando così uno scrittore a lui tanto caro, Tarantino scrive un esempio perfetto di adattamento dal testo scritto (anche se già molti testi di Leonard erano per natura adattabili al mezzo cinema), e lo trasforma in un opera personalissima, cambiando la protagonista bianca con l’attrice afroamericana Pam Grier, eroina dimenticata del fenomeno blaxploitation che andò tanto di voga negli anni 70, appropriandosi degli stilemi del genere polar per costruire quello che è forse, fino ad ora (aspettando l’imminente film sul 1969), il film più romantico di tutto il cinema Tarantiniano, e se così non fosse lo si può almeno considerare anche come il film che ha dato il via alla vena sentimentale che ha sempre deliziosamente caratterizzato, al volte di più e a volte di meno, la produzione successiva.

Quindi malinconico, così Jackie Brown si può definire, un lamento malinconico sul tempo, un tempo che non fa sconti a nessuno, il tempo con il quale bisogna guardare in faccia la realtà. Non il tempo che Tarantino si divertiva a decostruire in Pulp Fiction, ma un tempo dell’anima che, lungo tutto lo svolgimento del film, diventa un tempo fuori dalla narrazione, qualcosa proveniente da un passato che non ci è dato troppo conoscere me che ci restituisce una galleria di personaggi indimenticabilmente stanchi: come abbiamo detto prima, c’è Pam Grier, donna di mezza età che fa lo stesso lavoro da 19 anni, col culo più grande di quando aveva 29 anni, una donna che ha passato tanto tempo a farsi una collezione di vinili che ora non ha voglia di passare al nuovo formato CD; poi c’è un fantastico e riscoperto Robert Forster, garante di assicurazioni che ha imparato a riconoscersi allo specchio anche con qualche capello in meno, sebbene si sia stufato del lavoro; c’è la sensuale Jane Fonda, femme-fatale che tiene una vecchia foto del Giappone solo per ricordarsi di esserci stata tanto tempo, prima di diventare la lady in bikini del gangster Ordell-Samuel L. Jackson; poi c’è Robert De Niro che Tarantino si diverte a trasformare in un gangster fallito, impotente e straccione, un proto-drugo coeniano che una volta era uno dei più temuti e rispettati rapinatori di banche in circolazione (che Tarantino si riferisse al criminale gentiluomo De Niro-Neill McCauley del poco più anziano Heat di Mann?).

jackie brown

È un film sulla tristezza, sulla paura d’invecchiare, sulla paura di perdere il lavoro, sulla (im)possibilità di afferrare una possibilità. Non c’è troppo umorismo, tutto è calato sul piano della realtà, sull’impotenza di riuscire perfino a tenere la calma per uno scambio di denaro in un centro commerciale, di un “vuoi scopare?” infilato totalmente a caso nel mezzo di una conversazione sui tempi andati, è un film di poliziotti che si divertono a fare i poliziotti (magnifico in questo caso la scelta dell’ex Batman Michael Keaton) e di ragazzine che non ci più sono da quando sono nate e credono che Compton sia Hollywood.
Forse Jackie Brown è uno dei film dei 90’s che più 90’s non si può, forse il film più alleniano tra quelli di Tarantino, una disillusa cartolina che si fa sinfonia su Los Angeles e sui suoi luoghi: negozi di cassette, cinema pomeridiani, appartamenti davanti a Hermosa Beach, locali, night club e centri commerciali, tutti teatrini contemporanei dove si consumano guazzabugli di ordinaria follia tra crimine e polizia. In tutto questo, in questo mondo di pazzi criminali e poliziotti, è Jackie Brown che detiene il controllo col suo doppiogioco lungo tutto l’arco narrativo; mentre questi odiabili uomini si rincorrono tra di loro lei rimane un passo avanti a tutti, prima donna di un immaginario femminile che Quentin avrebbe creato e fatto culminare nella figura di Daisy Domergue di Jennifer Jason Leigh, personaggio che 19 anni dopo e un secolo prima di Jackie Brown, si sarebbe trovato nella stessa situazione. È Jackie l’unica a reclamare la sua vincita, la sua libertà sul tempo, perché forse alla fine si tratta di andare a tempo di musica, seguendo le strofe di Across 110th Street alla radio prima che inizino i titoli di coda.

Emilio Occhialini