
Venezia76: Com’è Joker? Devastante
August 31, 2019“I don’t want to feel bad anymore.”
Gotham City, anno indefinito. La città è sporca da far schifo, i rifiuti sono sparsi ovunque perché è in corso uno sciopero dei netturbini. Un esercito di ratti assieda la città. Nei cinema in centro vengono proiettati film porno in pieno giorno. Prostitute battono attorno alle lamiere. Barboni si scaldano le mani dando fuoco ai bidoni della spazzatura. Pianisti suonano a bordo strada. Tensione nelle strade, disoccupazione dilagante. I tempi sono duri per tutti. Nel gorgo di tutto questo disagio sociale, un uomo psichicamente instabile di nome Arthur Fleck, di professione clown, darà una svolta alla sua vita scoprendo, abbracciando il lato oscuro della violenza e il mondo delle stand-up comedy.
Se il film più atteso a Cannes è stato Once Upon A Time In Hollywood, quello di Venezia è il Joker.
Il più chiacchierato da tutti, fan e non dei fumetti. Alla proiezione stampa delle 8:30 in sala Darsena è presente anche la giuria, da Paolo Virzì a Stacy Martin. C’è anche la presidentessa Lucrecia Martel, che forse è riuscita a scampare il bellissimo J’accuse di Roman Polanski, ma non questo.
Di Joker si può parlar solo bene: registicamente / produttivamente valido da qualsiasi lato lo si prenda, l’interpretazione di Joaquin Phoenix rivaleggia con quella di Heath Ledger (un appello ai fan di uno o dell’altro attore, deponete le armi, piantatela con le tifoserie, godetevi i film e basta). Plauso alla fotografia (girato in pellicola?) e alla colonna sonora.
Fatti i dovuti complimenti, perché Joker è un grande film? Perché è concepito per la più ampia gamma di pubblico e al contempo è il racconto di un malato mentale dalla duplice -e per questo mai univoca- moralità, di un killer a piede libero per cui si tifa e che si elegge a eroe. È il fascino del personaggio Joker, un fascino trasversale perché conquista i nerd ossessionati da giustizieri incappucciati e mascherati, ma anche chi non rientra in questa categoria.
Perché? Semplice: gli individui fuori dai canoni comuni e dediti agli eccessi attraggono più di quelli perfettamente in equilibrio.
E Joker a quello punta: ritrarre un essere umano malato, intrappolato tra un corredo genetico sballato, e dei terribili segreti familiari sepolti e mai tramandati. Per Arthur Fleck, lo scivolare in una condizione psichica sempre più fragile è accompagnato da un elevarsi a una dimensione più vicina alla realtà e meno alla fantasia. Peggiorando e trasformandosi in criminale, il protagonista è come se in fondo un po’ guarisse, desse un senso alla sua vita anche a costo di privare altri della loro. La catarsi di Arthur si realizza con lo smettere di interiorizzare e l’iniziare a sprigionare al di fuori di sé l’energia in eccesso che finirebbe per annichilirlo, col tempo.
Interessante è la contestualizzazione che viene spontaneo fare: Joker è figlio dell’Era Trump, sia quando mostra un ricco magnate ambire a diventare sindaco della città, sia quando si riduce la vicenda al suo episodio principale, ossia il potere ottenuto da un pagliaccio (tra l’altro per mezzo dei media, che 24/7 diffondono messaggi deprimenti o fake news).
Il film è probabile che andrà contro a tentativi di boicottaggio negli USA per il suo anarchico messaggio di fondo, ma verrà eletto a manifesto di protesta contro il sistema per una rivolta che non si verificherà mai. Se non sul web.
Nota a margine: tocco di classe aver a un certo punto mostrato Randall, uno dei colleghi di Arthur, truccato come Jerry Lewis nel mai circolato lungometraggio The Day The Clown Cried. Chapeau.
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