
Venezia76: Appunti sparsi su The Painted Bird e About Endlessness
September 3, 2019Due titoli radicalmente diversi il The Painted Bird di Vàclav Marhoul e l’About Endlessness di Roy Andersson. Li accomuna l’essere entrambi in concorso per il Leone d’oro alla 76ma Mostra del Cinema di Venezia.
Il primo ha una lunghezza fuori dai canoni del grande pubblico, 169 minuti, che sono tuttavia meno rispetto al lavoro di Lav Diaz che nel 2016 vinse qui il premio più importante, e meno delle annunciate tre ore e mezza di quel The Irishman che assieme a Martin Scorsese avremmo voluto vedere qui al Lido (sarà a New York, poi Londra, e si vocifera già di una proiezione alla Festa del Cinema di Roma, ma è un’altra storia questa). Al lato opposto di The Painted Bird c’è quindi l’ultima fatica di Roy Andersson, il quale confeziona col suo distinguibilissimo stile un brevissimo lungometraggio (76 minuti, solo).
About Endlessness, che farà contenti i sostenitori di Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, ne è anche l’ideale prosecuzione stilistico-tematica: sono mostrati in successione piccoli quadri più simili ad acquari che a dipinti, dentro i quali succede di tutto e non succede nulla. La violenza, l’incomunicabilità, l’ansia, la morte, i vizi, l’insopportazione, lo smarrimento, il distacco, l’inettitudine a vivere, tutto un massiccio portfolio di reazioni umane di fronte a qualcosa è offerto allo spettatore senza alcuna modalità di partecipazione. Ogni scenetta è servita mentre sta già avvenendo, niente si sa di chi si sta guardando, nessun background è fornito. Dal tizio frustato mentre percorre una strada in salita mentre porta una croce sulle spalle al prete che piange per non sapere come ritrovare la fede perduta, dal padre omicida che ha ucciso la figlia per difendere l’onore della famiglia alla coppia che dialoga senza guardarsi in faccia mentre osserva uno stormo di uccelli in volo oppure i prigionieri di guerra spediti nei campi di concentramento siberiani, ogni anonimo personaggio vale solo per quello che rappresenta: un momento, un’azione, una parola detta.
The Painted Bird, sia per la sua multiforme natura filmica (girato nel corso di anni e dalla non semplice organizzazione produttiva) sia per la modalità con cui si districa la narrazione, è decisamente altro modo di fare cinema. In primis, se About Endlessness è scomponibile in singole parti, di fatto quindi anche sezionabile di episodio in episodio come in un’autopsia, The Painted Bird è un ininterrotto martirio del suo protagonista, un ragazzino ostracizzato da ogni comunità a cui approda, picchiato selvaggiamente, stuprato, torturato. Anche chi inizialmente sembra accoglierlo e volerlo ospitare, si rivelerà un mostro. Il tutto, attraverso secoli, da un indistinto post-Medioevo alla Seconda Guerra Mondiale (si fa notare Harvey Keitel nei panni di un uomo di Chiesa che prova a fare del bene, fallendo).
In un bellissimo bianco e nero, The Painted Bird estremizza a tal punto un discorso sulla violenza -dipanandolo dall’inizio alla fine- da rendere complice e colpevole la stessa visione. È lo stigma di rivelarsi creature crudeli proprio in quanto esseri umani.
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