L’età dell’innocenza di Martin Scorsese: una grande opera in costume

L’età dell’innocenza di Martin Scorsese: una grande opera in costume

September 20, 2019 0 By Mariangela Martelli

The Age of Innocence (L’età dell’innocenza) è un film del 1993 diretto da Martin Scorsese, tratto dall’omonimo romanzo di Edith Wharton (con cui la  scrittrice diventa la prima donna vincitrice del premio Pulitzer, nel 1921). Il regista, per il primo approccio al period film, si distacca dal metodo di lavoro tipico del genere “in costume” targato Ivory – Merchant, giudicato “vecchio stile” da Scorsese stesso. Il cineasta dopo aver letto il romanzo a inizio anni ’80 (su consiglio di Jay Cock con cui poi realizza la sceneggiatura) era rimasto colpito dall’intensità e senso di perdita suscitatogli dalla storia impossibile tra due amanti nella New York del 1870.

Il protagonista Newland Archer (Daniel Day-Lewis) è un giovane avvocato fidanzato con May Welland (Winona Ryder) l’ultima discendente di una delle più prestigiose famiglia newyorkesi, i Mingott. Tutto l’ordine su cui poggia il microcosmo di Archer, fatto di antiche convenzioni e certezze, subisce una scossa quanto torna la cugina di May, Ellen Olenska (Michelle Pfeiffer) dal vecchio continente, dove ha contratto un matrimonio infelice e una serie di scandali. La “pecora nera” della famiglia viene riaccolta all’interno della cerchia dell’upper-class ma questo ritorno alle origini si trasforma presto in una condanna per Ellen in quanto gli errori del passato non vengono cancellati davanti al giudizio sociale.

Scorsese Daniel Day Lewis Età Innocenza

Martin Scorsese e Daniel Day-Lewis durante le riprese del film.

I titoli di testa, curati da Saul Bass (illustratore di locandine cinematografiche e collaboratore di Hitchcock e Kubrick) e dalla moglie Elaine Makatura, esibiscono il cuore stesso della pellicola: in un montaggio accelerato vediamo dei fiori che si aprono, alternati da dissolvenze e insorgenze cromatiche; inoltre i pizzi e i frammenti di lettere in sovrimpressione mettono in evidenza lo sfarzo della mise en scène. All’immagine riccamente decorata corrisponde l’impossibilità, da parte dei protagonisti, di esprimere i propri sentimenti: infatti sono proprio quelle parole non dette a perdersi all’interno di un codice di geroglifici. Un escamotage drammaturgico, utile a far conoscere allo spettatore i pensieri dei personaggi, si ha quando il personaggio stesso (May, Ellen) si racconta, con lo sguardo in camera, liberando il contenuto delle lettere sotto forma di monologo.

Inoltre, il colore funge da trait d’union tra l’universo stilizzato dell’incipit e quello della rappresentazione: gialli sono anche i fiori in dettaglio sul palcoscenico durante il Faust di Charles Gounod, a cui i protagonisti del film stanno assistendo. Il teatro ritorna nel corso della pellicola, come luogo deputato a mettere in scena le emozioni celate dei personaggi, obbligati a rispondere a un pattern serratissimo fatto da rituali e convenzioni da cui è difficile sfuggirvi; il teatro è un punto di ritrovo della società alto-borghese, in cui le famiglie guardano e si fanno guardare: questo gioco di sguardi è evidente nella soggettiva in cui noi spettatori vediamo attraverso il binocolo del personaggio, che dall’alto del palchetto osserva velocemente chi siede in basso nella platea. In una delle sequenze successive, vi è un’ulteriore descrizione dell’ambiente in cui i protagonisti si muovono, ovvero quando Archer entra in un salotto per un ricevimento accompagnato dalla voce narrante e dalla macchina da presa, quest’ultima si distacca dall’uomo per soffermarsi sui dipinti che tappezzano le pareti del palazzo. L’età dell’Innocenza è a livello visivo, un film “galleria d’arte” sia per le varie location e pose degli attori, sia per le opere esposte che caratterizzano il dècor in cui possiamo scorgervi, tra le molte, Too Early di James Tissot, Le printemps di W. A. Bourguereau, The duel after the masquerade di Jean Léon Gérôme ma anche l’anacronistico La carezza di Khnopff (del 1896).

Benestanti di antico lignaggio costituiscono la coralità del film mentre le loro regole prendono forma attraverso gli eventi della mondanità, in cui la successione di balli, banchetti e ricevimenti scandisce il tempo sociale. La cura (maniacale) per i dettagli del profilmico rimanda a Visconti (Scorsese ha detto di essersi liberamente ispirato al Gattopardo), ricordiamo che la scenografia è stata realizzata da Dante Ferretti (qui all’inizio di un sodalizio con il regista, continuato con Casinò, Kundun, Gang of New York, The Aviator, Shutter Island, Hugo Cabret e Silence) mentre la fotografia di Michael Ballhaus è messa in risalto dai movimenti fluidi della macchina da presa, come nei carrelli che avvolgono i personaggi durante le scene di ballo e che rimandano al cinema di Wells, Ophuls e Renoir.

L’horror vacui della messa in scena cerca di colmare i silenzi tra i personaggi, mentre l’ordine precario su cui si poggia l’intera classe dominante impedisce ogni cambiamento: nessuno sembra farsi scrupoli nell’estirpare alla radice tutto ciò che è estraneo all’ordine costituito. Esemplare è il momento in cui il volto della contessa Olenska viene cancellato dall’insorgenza del colore rosso, mentre la voce narrante legge le lettere di rifiuto da parte degli invitati al ricevimento organizzato. Scorsese ha definito L’età dell’innocenza “il suo film più violento” sebbene la città (New York) sia la stessa delle pellicole precedenti, qui il regista focalizza l’attenzione su un’altra tipologia di clan, passando dai quartieri di periferia agli ambienti altolocati, dalle strade notturne ai palazzi illuminati da lampade e candele. Quest’ultime re-inquadrano i personaggi (come Archer durante la cena dai van der Luyden) in una perfetta simmetria che li condanna a una mise à mort.

Età Innocenza film scena ballo

Ad un primo sguardo potremmo attribuire l’alternanza dei colori (bianco, rosso e giallo) ai personaggi e agli abiti indossati (Gabriella Pescucci è stata premiata con l’Oscar per i migliori costumi) come il bianco dei mughetti alla purezza di May e il rosso della passione a Ellen, ma la palette va oltre, capace di accompagnare i vari momenti drammaturgici, come ad esempio attraverso le esplosioni cromatiche impiegate per enfatizzare un climax narrativo o per attirare l’attenzione dello spettatore su un elemento-chiave (le rose gialle che Archer regala a Ellen); inoltre non manca la presenza di un mascherino nero che restringendosi sui personaggi li isola dal contesto circostante (Archer e Ellen nel palchetto) o per incorniciare un dettaglio (l’anello di fidanzamento esibito da May). La tinta dominante è però quella del giallo, presente nell’atmosfera di “sogno nel sogno” vissuta da Archer mentre osserva da lontano Ellen di spalle al molo, immagine rievocata nei ricordi dell’uomo al finale.

Il titolo, L’età dell’innocenza, allude a un “mondo di ieri” destinato a scomparire: sebbene il vento del nuovo sia già arrivato, i più continuano ad ancorarsi alle vecchie usanze; esemplare è l’attimo ripreso con il teleobiettivo in cui una folla di uomini cerca di mantenere il proprio cappello ben saldo sulla testa. Anche la villa della nonna di May, Mrs Mingott, su una Fifth Avenue in costruzione, rende visivamente il contesto liminale in cui si svolge la narrazione, mentre il presente viene fedelmente registrato dal cameo scorsesiano nel ruolo del fotografo. Allo sguardo distaccato dell’operator si contrappone quello fin troppo partecipe di tutta la coralità del film, mentre il cast d’eccezione si estende anche ai personaggi secondari: dalla Signora Welland (Geraldine Chaplin) al nipote Ted (Robert Sean Leonard). Ogni personaggio è qualcosa da esibire, al pari degli oggetti di scena, osservati e posti costantemente sotto il giudizio altrui.

Al gioco di sguardi corrisponde la mutevolezza del punto di vista: il personaggio-narrante, nonostante descriva le azioni dei personaggi, non ne anticipa gli sviluppi diegetici (a differenza del tradizionale narratore onnisciente) inoltre attraverso la semi-soggettiva di Archer, il punto di vista del narratore coincide con quello dello spettatore. Il dramma del protagonista maschile risiede nel continuo oscillare tra il desiderio di appartenenza al proprio ambiente e quello di fuggirvi; i valori del mondo in cui è cresciuto vengono messi in discussione quando Ellen ritorna dopo diversi anni, mentre la fuga negata viene sopperita da Archer alludendo a ipotetici viaggi in Asia e attraverso il contatto con oggetti esotici (sfoglia delle stampe giapponesi, sfiora una maschera indiana a casa della contessa). Anche la figura di Ellen è in bilico tra la necessità di vivere liberamente secondo le proprie convinzioni e il sentirsi riconosciuta da una società che la rifiuta.

Inoltre, le due protagoniste femminili sono una l’altra faccia dell’altra: tanto Ellen incarna l’esperienza, l’esilio, la cultura europea, la sessualità e verità; tanto May è il perfetto risultato dell’educazione ricevuta dall’upper-class americana: ne incarna le regole e fa di tutto per difenderne l’equilibrio. Ellen sfugge il proprio passato come May si sente protetta all’interno del conformismo vittoriano, nel suo microcosmo di sottomissione e ipocrisia. Il senso di un tempo perduto ci viene mostrato attraverso una finta panoramica, che muovendosi nelle quattro mura domestiche del salotto, ripercorre in velocità le tappe salienti della vita dei coniugi Newland (dalle nascite ai funerali, passando per i matrimoni) mentre la fine del “sogno nel sogno” si concretizza nel bagliore riflesso sul vetro della casa parigina di Ellen, vista dal basso da Archer. Come leggiamo nei titoli di coda, Scorsese ha dedicato L’età dell’innocenza al padre, scomparso qualche giorno prima della presentazione della pellicola al cinquantesimo Festival di Venezia.

Età dell'innocenza recensione film

Mariangela Martelli