La New York sporca, sudicia e alienante di Taxi Driver

La New York sporca, sudicia e alienante di Taxi Driver

October 9, 2019 0 By Alessio Italiano

Tutte le convinzioni che ho maturato nella vita si fondano sulla consapevolezza che la solitudine, ben lontana dall’essere una condizione rara e curiosa, è un fatto centrale ed inevitabile dell’esistenza umana.

Thomas Wolfe, God’s Lonely Man”

Da molti considerato uno dei suoi capolavori per antonomasia (se non Il Capolavoro), Taxi Driver è ambientato nella New York degli anni ’70, illuminata al neon, sporca e sudicia, post-guerra del Vietnam e segue le vicende di Travis Bickle (Robert De Niro), ex marine isolato, alienato dal mondo intero e con problemi psicologici dovuti alla guerra; il film scava sulla psiche di un uomo fortemente disturbato che cerca di trovare il proprio posto nel mondo.

Taxi Driver è stato vincitore nel 1976 della Palma d’oro al Festival di Cannes ed è stato candidato a 4 premi Oscar senza vincerne alcuno. Tra i vari premi riconosciutogli negli anni, vanta l’ingresso nell’American Film Istitute alla 31° posizione – dividendo questo primato con un altro capolavoro dell’epoca – che guarda caso vanta sempre Robert De Niro, Il Padrino Parte II di Francis Ford Coppola. Non a caso il film di Coppola è stato un po’ il precursore di Taxi Driver, nel periodo in cui la New Hollywood sfornava capolavori su capolavori e registi che di lì a poco sarebbero entrati nella leggenda. Taxi Driver, vantava infatti la presenza di un Bob De Niro vincitore agli oscar come attore non protagonista per la parte del giovane Vito Corleone nel secondo capitolo della trilogia tratta dal romanzo omonimo di Mario Puzo.

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Taxi Driver è uno specchio di quella che era la società americana e non solo durante la guerra in Vietnam.

De Niro interpreta l’ex-marine in maniera impeccabile, entrando nell’immaginario collettivo di milioni di persone. Sono molte infatti le citazioni che hanno reso questo film un vero e proprio cult, che col tempo è stato più e più volte omaggiato in centinaia di film; l’ultimo You Were Never Really Here con Joaquin Phoenix di Lynne Ramsey.
Il film suscitò numerose polemiche ai tempi per via non solo delle tematiche trattate, ma anche per via della violenza esplicita e di alcune scene che vedevano l’allora minorenne Jodie Foster in un ruolo così duro e maturo, tant’è che all’epoca gli valse 2 premi Bafta nel 1977 come miglior attrice esordiente e non protagonista. In particolare, viene menzionata la scena della sparatoria finale, che lo stesso Scorsese dovette modificare desaturando i colori per non rendere il divieto ancora più alto del rating R (NC-17, v.m.18 anni non accompagnati), cosa che col tempo cominciò ad apprezzare dichiarandolo migliore del montaggio originale che purtroppo è andato perduto.

Il nostro Travis a causa di problemi d’insonnia, cercherà lavoro inizialmente come taxista notturno. Si innamorerà di una volontaria ai seggi elettorali, Betsy (Cybill Shepherd), per la candidatura del nuovo presidente Palantine (Leonard Harris), ma ovviamente la sua malattia e schizofrenia gli faranno compiere delle scelte e delle azioni che si ripercuoteranno sulla sua instabilità mentale rendendolo sempre meno lucido e portandolo all’acquisto di armi da fuoco per tentare di assassinare il candidato alla presidenza, motivo per cui secondo lui la società si era ridotta ad un letamaio di prostitute, papponi, ladri, sfruttatori, assassini, delinquenti e via dicendo.

Con un taglio mohawk Travis tenta inutilmente di assassinare Palantine fallendo e cadendo sempre di più nella depressione e nella frustrazione di non riuscire a trovare uno scopo nella sua vita. Quello scopo arriverà quando incontrerà la piccola Iris (Jodie Foster), una giovane prostituta sotto il controllo di Sport un pappone interpretato magnificamente da Harvey Keitel. Travis dopo il tentato assassinio fallito si recherà nella casa chiusa per salvare Iris e uccidere Sport e il vecchio ebreo pappone proprietario del palazzo, cercando infine inutilmente di togliersi la vita dopo che il suo piano era andato finalmente a buon fine. In questo finale assistiamo a tutta l’ipocrisia della cultura Americana in grado di demolire l’individuo in un istante o di farlo diventare un eroe per una serie fortuita di eventi. La notizia farà il giro dei quotidiani e Travis ritroverà la donna di cui era innamorato, Betty, dove assistiamo per la prima volta ad una discussione tranquilla e logica tra i due dove sembra che Travis sia riuscito a guarire dal suo malessere e dalla sua sociopatia.
Scesa dalla macchina, però, Scorsese ci regala una delle inquadrature più emblematiche della storia del cinema, che tanto strizza l’occhio ad un altro capolavoro degli anni 70s, Arancia Meccanica di Kubrick; in cui assistiamo ad un giochetto con gli specchietti che ci farà dubitare ancora una volta che Travis probabilmente non è riuscito a guarire dai suoi scatti d’ira e di schizofrenia e che sia ancora malato.

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Un altro elemento che ha reso Taxi Driver un capolavoro nel tempo è senza dubbio la magnifica colonna sonora di Bernard Herrmman, storico compositore di Alfred Hitchcock (Psycho, Vertigo) che con il suo sax e la sua triste melodia ci fa da perfetta cornice sugli scorci bui e cupi della New York notturna. Taxi Driver resta ancora oggi a più di 40° anni dalla sua uscita un film sempre attuale, il riferimento all’assassinio progettato da Travis somiglia molto a quello di Lee Harvey Oswald, storico assassino di JFK che guarda caso soffriva degli stessi disturbi del nostro protagonista (l’isolazione, l’alienamento diventarono successivamente rabbia e aggressione), incluso l’arruolamento nel corpo dei marines.

Taxi Driver è il capostipite del male e della sofferenza dei deboli nella società, troppo spesso gli emarginati trascurati dai potenti e dai ricchi benestanti che per primi si lamentano della delinquenza, dei furti e delle morti violente perpetrate da questi individui ai loro danni. Un aspetto curioso della pellicola è il suo ribaltare la situazione e trasformare Travis alla fine della sparatoria in un eroe, un uomo che qualche secondo prima stava attentando alla vita del candidato alla presidenza. Tutto questo ha fortemente influenzatogli artisti del mondo del cinema, della musica, dell’arte e non solo, per porre al mondo di chi governa un problema che continua ad essere fortemente attuale e sempre sulla bocca di tutti. Ancora senza una soluzione.

Taxi Driver resta senza dubbio il film capostipite sulla claustrofobia, la depressione e il senso d’isolamento e la sua lenta e inesorabile discesa nel baratro dal quale non vi è alcuna salvezza.

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Alessio Italiano