
Per favore non mordermi sul collo: Polanski danza con i vampiri
December 18, 2019Nel 1967 Roman Polanski realizza Per favore non mordermi sul collo (Dance of the vampires), un divertissement impensabile da girare in terra natia, in quanto la trama affronta un genere “temuto” nella Polonia socialista dell’epoca, che rimanda a un passato (forse non troppo lontano) fatto di superstizioni. Le situazioni che si creano tra i personaggi (umani e non) assumono i toni farseschi: dalle gag esilaranti dei protagonisti (la comicità fisica di Alfred ricorda quella di Chaplin e Keaton) si sviluppano una lunga serie di equivoci e inseguimenti, mentre il décor, tutto corone di aglio e paletti di legno, esibisce una serie di rimedi popolari a cui gli abitanti del paesino ricorrono per esorcizzare false credenze. Le paure, però, emergono “realmente” dal buio, prendendo forma in vampiri dalle parrucche e canini posticci, elementi che più che spaventare, aumentano il senso del ridicolo a cui i personaggi-caricatura sono ridotti (il professore, con i capelli e baffi bianchi, assomiglia ad Einstein).
Le vicende che si svolgono in un’ipotetica Transilvania (ricostruita in teatro di posa), si aprono (e chiudono) con le scene in notturna in un paesaggio innevato, come in un corto precedente, Ssaki (I mammiferi; 1962). La cornice di Per favore non mordermi sul collo, segue (e precede) il tintinnare della slitta al chiaro di luna (piena), mentre la colonna musicale extradiegetica di Krzysztof Komeda (suoi i brani anche ne Il coltello nell’acqua, Cul-de-sac e Rosemary’s baby) si interrompe all’ululare dei lupi. La voce fuoricampo del narratore, invece, svolge la funzione di presentare i protagonisti: il professor Abronsius (Jack MacGowran) e il suo assistente Alfred (interpretato dal regista stesso), in viaggio per studiare i vampiri. Le temperature polari (e l’assideramento del professore) costringono Alfred a fermarsi alla locanda dove i due pernottano, non prima di aver fatto la conoscenza del locandiere Shagal e “accidentalmente” della sua bella figlia Sarah (Sharon Tate), sorpresa durante un bagno caldo nella tinozza (con tanto di schiuma). Alfred rimane abbagliato dalla bellezza della giovane e se ne innamora all’istante.
L’antagonista tanto atteso, il Conte Von Krolock (professione vampiro), non tarda ad arrivare: il piombare del non-umano, dal lucernario del bagno (dove Sarah sta facendo il bagno), è anticipato dai fiocchi di neve che scendono sul viso della bella. La dinamica della caduta ricorda quella presente nel cortometraggio When angels fall (1959; Quando cadono gli angeli); altri riferimenti a questo primo lavoro a colori del regista si hanno nella posa di Sarah, mentre guarda fuori dalla finestra, simile a quella della protagonista del corto, Barbara Kwiatkowski (poi con Tess, troviamo la variante della protagonista che guarda dal fuori al dentro). L’attesa di Sarah, però, non ha nulla di drammatico, anzi, la ragazza nell’osservare Alfred giocare con la neve, sembra condividerne lo stato d’animo. Non possiamo non provare simpatia per il personaggio interpretato dal regista, che con il suo essere naïf, infonde una certa spensieratezza e candore alla pellicola, e che contribuisce, inoltre, a farci arrivare la leggerezza respirata sul set, in cui gli stessi Roman e Sharon si sono innamorati.
Il voyeurismo, un topos ricorrente nella filmografia polanskiana, si esprime in questa pellicola tramite l’utilizzo della soggettiva: spiamo con il professore (dal buco della serratura) Sarah venire morsa dal vampiro mentre fa il bagno, oppure scrutiamo con i personaggi dalla finestra o dal cannocchiale. Non manca, inoltre, la sensazione di “sentirsi guardati”, provata dai protagonisti stessi: a tal proposito, è emblematica la scena in cui il professore e l’assistente attraversano il corridoio del castello, contornato dai dipinti degli avi vampireschi, immagini che ricordano quelle della scena cult di Repulsion (1965; Repulsione), sebbene in Per favore non mordermi sul collo, le fobie dell’inconscio rimangano attaccate alle pareti.
Polanski, ha realizzato la pellicola tenendo in considerazione il punto di vista dello spettatore: l’intento del regista è stato quello di creare un’opera che non fosse una parodia del genere horror, ma un racconto fiabesco che rispondesse al desiderio infantile di provare paura senza avvertire il senso del pericolo. Le atmosfere stesse dei paesaggi incantanti, infatti, prendono forma attraverso l’immaginario del Polanski bambino, vissuto in Polonia. All’ambiente saturo di colore locale e di Eros della locanda, si contrappone quello isolato del castello, in cui la morte è la protagonista indiscussa: dalle tombe nel cimitero circostante alle bare in cui dormono i vampiri all’interno delle sale. Il professore e Alfred, recatesi nella dimora del Conte, con l’intento di salvare Sarah, finiscono per diventare ospiti-prigionieri di un microcosmo grottesco. Durante la convivenza con gli altri inquilini dell’abitato, i due “eroi” architettano degli stratagemmi che, invece di andare a buon fine, innescano una scia di gag (non dimentichiamo gli approcci di Herbert, il figlio del Conte, ad Alfred) e di fughe rocambolesche che si sviluppano nei corridoi e nelle stanze, per le scale e sul tetto.
La fotografia di Douglas Slocombe esibisce una palette dai toni cupi che si accende grazie alle punte di rosso del sangue e dei costumi: l’abito vermiglio, indossato da Sarah nel ballo finale, anticipa quello della protagonista nel prologo di Tess. Il rituale della danza, a cui tutti i vampiri sono invitati con cadenza annuale, si svolge all’interno del salone barocco, rischiarato dalle candele. Sulle note del clavicembalo suonato da Herbert, il Conte tiene un discorso in cui cita Lucifero (in un proselitismo alla Rosemary’s baby), annunciando, inoltre, ai suoi adepti di avere delle vittime sacrificali per concludere la serata. Alfred, che insieme al professore partecipa alla danza travestito da vampiro (con tanto di parruccone impolverato), riesce ad avvicinarsi a Sarah durante la quadriglia, ma la loro messa in scena viene svelata dallo specchio che riflette le loro figure, a differenza degli altri invitati presenti. I tre riescono a fuggire dal castello ma la scena finale sulla slitta capovolge l’happy-ending sperato: la voce fuoricampo, chiudendo a cerchio la pellicola, ci racconta dell’inconsapevolezza del professore che, alla guida della slitta, non si è accorto di cosa sia successo alle sue spalle, ovvero di come quel Male che voleva estirpare si propagherà, invece, in tutto il mondo.
Durante l’uscita del film precedente Cul-de-sac (1966), Polanski incontra Martin Ransohoff, (all’epoca già noto produttore americano) il quale acquista i diritti del film per la distribuzione negli Stati Uniti e con cui si accorda per realizzare, con la MGM, Per favore non mordermi sul collo. L’entusiasmo di Polanski di vivere questa prima esperienza con una casa di produzione così importante, cimentandosi in un film impensabile per l’Europa socialista, è talmente forte da mettere in secondo piano il prezzo da pagare: l’accordo prevede che Ransohoff possa intervenire (a pieno diritto) sul montaggio della pellicola, prima della sua distribuzione. Sarà la presenza, imposta dal produttore, di Sharon Tate per il ruolo di Sarah (a cui Polanski non era inizialmente d’accordo) a far dichiarare al regista, all’uscita del film, di essere un uomo felice e innamorato, distogliendolo in questo modo dalle modifiche finali della versione americana: dai venti minuti in meno di girato, all’animazione dei titoli di testa, passando per i personaggi ridoppiati.
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