
Il dolce far nulla di Artemis Fowl
July 12, 2020Kenneth Branagh è uno di quelli che non perde occasione per ficcarsi in qualche pellicola, anche se di questa firma solo la regia, anche se il film, tutto sommato, è un piccolo disastro. Pensato al tentativo di rilancio di Jack Ryan con finalità di franchise. Ve lo ricordate il film con Chris Pine protagonista? Se la risposta è no, tranquilli, non temete: quel film non uscì mai in sala da noi, rifugiandosi subito nel caldo e accogliente home video prima e streaming. Branagh dirigeva e interpretata il guarda-un-po’ solito cattivone russo. Il film? Un disastro totale.
Con Artemis Fowl succede più o meno la stessa cosa, ma la consapevolezza della mediocrità del materiale girato è tale che Branagh decide di non ritagliarsi neanche un inconsistente cameo.
Destinato originariamente per la sala, il film Disney arriva direttamente sulla piattaforma streaming Disney+. I dirigenti dicono per via del Coronavirus, ma la realtà è ben altra: tutti sono a conoscenza del piccolo disastro che è uscito fuori con questo prodotto, dunque meglio nasconderlo alla luce del sole. Su Disney+ il feedback potrebbe essere differente, invece nulla, una débâcle su tutta la linea. Diciamo che se Marvel e Disney non hanno distribuito Black Widow su Disney+ è per un valido motivo, economico in primis. Meglio dare la libera uscita dunque a Artemis Fowl, sperando nell’effetto dimenticatoio.

La trama non è neanche da buttare, pur tenendo presente che dietro c’è l’omonima saga letteraria per ragazzi. Artemis Fowl è un bambino irlandese di 12 anni. Il classico genio, in questo caso, genio del crimine dato che discende da una generazione di abili ladri e truffatori. Quando suo padre scompare, Artemis scopre che le storie che gli raccontava da giovane, riguardo realtà parallele abitate da esseri magici quali folletti e nani, in società costruite su magie e tecnologia avanzata, sono tutte vere. Difatti a mantenere la pace tra questi mondo è la reciproca assenza di contaminazioni, almeno finché un oggetto non viene rubato dal mondo fatato e si parte alla ricerca del ladro, che sembra essere proprio il padre di Artemis Fowl.
In questo quadro collettivo è davvero difficile identificare quale organo riesca a funzionare meglio dell’altro. Nel film tutto sembra funzionare male, partendo dalla semplicistica idea di creare un nuovo mondo immaginifico, rapire la prospettiva dell’avviarsi di un ulteriore franchise non tanto young adult, bensì più incline a inserirsi in un terreno già battuto prima con successo da Harry Potter e poi con insuccesso da Pearcy Jackson.
Le prime domande si insinuano nella testa dello spettatore appena vediamo Judi Dench, interpretare questo essere fatato dal nome improbabile – Comandante Tubero – messa dentro un costume verde glitter evidenziatore e con le orecchie a punta. Non si vedeva un miscasting di questo calibro dai tempi di Venom. Gli altri interpreti tengono relativamente l’interesse acceso, anche Josh Gad si diverte in questo nano gigante mangiatore di terra. O di un maggiordomo di colore, ma con occhi e capelli bianchi platino. A mancare di mordente è proprio il protagonista: il giovane Ferdia Shaw è in balia del film stesso, indossa abito scuro, occhiali e imbraccia armi futuristiche, più vicino ad un Men in Black che a un bambino prodigio – in cosa poi non è mai specificato o visto su schermo – pronto a risolvere l’enigma della scomparsa del padre, di un’improbabile compagna volante e di un nemico comune, sia per gli umani che i fatati.
Artemis Fowl dunque fa il classico passo più lungo della gamba, costruisce la base per gli eventuali – molto improbabili – sequel, lasciando struttura narrativa, background e velleità logiche in una seconda sede.
Ecco perché Branagh gira il film, porta a casa il minutaggio, incassa l’assegno da Disney e vola via. Talmente svogliato e interessato ad altro che neanche si ricama un piccolo cameo. Ed è tutto dire.
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