Trieste SFF20: The Trouble With Being Born e gli androidi sognanti

Trieste SFF20: The Trouble With Being Born e gli androidi sognanti

November 3, 2020 0 By Gabriele Barducci

Non meraviglia che un film come The Trouble With Being Born stia avendo numerose censure in giro per il mondo, tanto da non far bastare un determinato taglio di scena e dunque essere bandito da alcuni paesi del globo.

C’è anche da dire che nella sua messa in scena, questo è il tipico film da Festival, che veicola e usa la fantascienza, gli androidi in questo caso, per elaborare un discorso molto più ampio, andando a toccare il sempreverde discordo di un’umanità calcolata e imitata da parte di queste macchine, che più entrano in contatto con i loro creatori, più bramano di sognare, di dare un valore emotivo a quel “ti voglio bene” che risulta più come una frase registrata e programmata da altri. La regista ha paragonato il film a Pinocchio e si capisce sin dalla trama il perché di tale affermazione. Un uomo e il suo androide, con le fattezze di una bambina di scarsi dieci anni.

Tra i due c’è un legami quasi da padre e figlia di giorno e da amanti di notte. Campi lunghi e momenti di silenzio contemplativo, niente è mai così esplicito, ma dalle coccole, dai movimenti sotto le coperte, dai gusti e i profumi che l’androide elabora, lì c’è del sesso.

L’ombra della pedofilia è dietro l’angolo e quando ogni mattina l’uomo estrae e pulisce alcune parti dell’androide (lingua e vagina) il dubbio si fa sempre più concreto. Ma l’androide è a somiglianza del suo creatore, ecco dunque che quando per diverse vicissitudini si troverà in una famiglia di anziani, lo trasformeranno in un maschietto, d’altronde basta cambiare alcune pezzi, riorganizzare la memoria e il gioco è fatto, ma le diverse memorie all’interno cominciano a stare strette e la reazione del piccolo essere non tarderà a farsi sentire, anche se, come tante altre storie raccontate con questo tono, un destino nefasto è pronto ad abbattersi su di lui.

The Trouble With Being Born è un film tanto delicato, quanto difficile da digerire. Lento come la melassa nella narrazione che si riempie più di lunghi silenzi, lasciando alle battute solo la coscienza dell’androide, in cerca di un posto felice che forse non troverà mai.

Disturbante al punto da lasciare interdetti, ogni sequenza è una domanda per lo spettatore che guarda affascinato quella sequenza di immagini, empatizza con il piccolo essere senza poter mai fare nulla. Rimane in testa la piccola odissea di questo androide, tanto da essere una visione importante, ragionata, da portare nel cuore e lasciarla maturare per una seconda o terza visione per una considerazione a tutto tondo, che già ora è di altissimo livello e prestigio.

Gabriele Barducci
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