Il vero cinema di Georges Simenon dentro un gabbiotto di vetro

Il vero cinema di Georges Simenon dentro un gabbiotto di vetro

November 16, 2020 0 By Simone Tarditi

A che servono i libri se non per citarli? Nelle prime cinquanta pagine del romanzo Gli intrusi (ed. Adelphi) -siamo fuori dalla sfilza di titoli con protagonista il commissario Maigret- Simenon entra ed esce da palazzi, condomini, stazioni di polizia. C’è chi lavora di notte, ci sono famigliari che non si parlano a tavola, c’è chi sceglie casa d’altri per morire. Lo scrittore descrive con minuzia e tecnica bozzettistica ogni angolo di una città francese di provincia. Strade semi-deserte popolate da poche figure. Vita che scorre silenziosa, senza lasciare impronta a terra.

Sono pagine di un’essenzialità scarna, funzionale, perfetta, capaci di proiettare il lettore non solo nella vicenda misteriosa che viene trattata, ma direttamente in scenari anni ’30 di grande suggestione. Merito anche del disegno di Constant Permeke sulla copertina dell’edizione 2015. L’immaginazione gonfiata da film dell’epoca fa il resto.

E a proposito di cinema, Simenon ritorna per ben due volte in uno stesso luogo: dentro e fuori da una sala dove viene proiettata una pellicola. Pochi gli spettatori, ma il personaggio su cui l’autore vuole soffermare la sua attenzione è un altro, la donna che vende i biglietti ai temerari spintisi fin lì nonostante il maltempo:

Eppure quella sera tutto sembrava tranquillo, tanto più che pioveva e ogni cosa era immersa in un’atmosfera stagnante. La prima pioggia fredda della stagione; perciò, a parte qualche coppia di innamorati, nel cinema di rue d’Allier non era entrato nessuno, e la cassiera era furibonda di doversene stare chiusa nel suo gabbiotto di vetro, intirizzita dal freddo, a guardare la pioggia che si stagliava contro la luce dei lampioni.

Moulins aveva l’aspetto consueto dei primi d’ottobre. All’Hôtel de Paris, al Dauphin, all’Allier, c’erano i soliti commessi viaggiatori che mangiavano a prezzo fisso, serviti da ragazze in camice nero, calze nere e grembiulino bianco. Ogni tanto, fuori passava un’automobile diretta chissà dove, a Nevers o a Clermont, o forse a Parigi.

Le saracinesche dei negozi erano abbassate, e sulle insegne – sull’enorme cappello rosso della bottega di Bluchet, sul gigantesco cronometro dell’orologiaio Tellier, sulla testa di cavallo dorata della macelleria equina – scrosciava la pioggia.

Frasi che hanno il valore di inquadrature. E poi, ancora, qualche pagina dopo:

La cassiera del cinema chiuse finalmente il gabbiotto a vetri che durante l’inverno era per lei un luogo di tortura, nonostante la borsa dell’acqua calda che si teneva sempre in grembo. Le coppie indugiavano un attimo alla luce delle insegne, poi s’inoltravano nell’oscurità, sotto la pioggia. Di lì a poco, nei vari quartieri, si sarebbero aperti e richiusi dei portoni, le strade avrebbero risuonato di voci: «A domani…».  «Buonanotte…».

Simone Tarditi
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