
Trieste SFF 20: Le ambizioni mancate di 2067
November 22, 2020Bello il messaggio, belle le ambizioni, ma concretamente tutto ciò non serve a salvare un film che avrebbe avuto più senso come corto.
Punto. Salva e chiudi elemento. Recensione di 2067 scritta, consegnata, impaginata e pubblicata.
Potrei tranquillamente chiudere qui con 2067, opera prima del giovane Seth Larney ma cerchiamo di capire bene le ragioni di tutto ciò.
Nel 2067 non ci sono stati alieni a distruggere il pianeta, e neanche un’invasione di cyborg assassini ha contribuito al degrado ambientale, bensì l’uomo, sempre lui, in decadi di ignoranza è riuscito a uccidere ogni pianta sulla faccia della Terra, dunque nel 2067 la risorsa privatizzata e più importate di tutte è l’aria. Se lavori e hai un reddito registrato e giustificabile, hai anche un set di maschere filtranti e qualche bombola di aria pura. Tempi bui dunque per chi ha malattie cardiache o asma di vario tipo. Poi una scoperta incredibile. Una macchina del tempo – costruita segretamente dallo Stato – si accende e manda un messaggio, ovvero inviare alle coordinate comunicate, centinaia di anni avanti nel tempo, un giovane, un operaio che si spacca la schiena giorno e notte per garantire l’aria alla fidanzata studiosa di botanica (ma non ci sono gli alberi) ma con malattie cardiache.

Il regista Seth Larney ammette di aver vissuto un’infanzia felice, fuori dal mondo tecnologia fino all’arrivo delle scuole superiori. Da una famiglia di contadini ha ereditato e plasmato la passione, rispetto e cura verso i prodotti che la Terra ci dona. Ambientalista convinto, trasmette questo forte messaggio con questo ambizioso film.
Come sempre, in produzioni del genere ci troviamo davanti a una cura per il comparto degli effetti visivi sempre curata e attenta. Al giorno d’oggi creare un ottimo prodotto con supporti tecnologici è facile e accessibile per tutti. Purtroppo al film manca una totale consapevolezza del ritmo narrativo che si rievoca in pochi caratteri: narrativamente il film presenta pochissimi avvenimenti, facilmente riassumibili in poco. Il resto del minutaggio (118 minuti) è una reiterazione delle stesse informazioni, esposte con un pathos mai giustificato.
Altro passo falso è stato il voler reinterpretare classiche regole cinematografiche riguardo il concetto del viaggio nel tempo. Ogni azione non ha dirette influenze sul passato o sul futuro, mancando di un proprio valore circolare nella logica. In più momenti il film spinge a giustificare determinate azioni, ma concretamente non torna quasi nulla. Le fasi finali, come sempre, cariche di un pathos inutile e di una risoluzione che lascia più perplessità che conferme. Si giustifica il valore acerbo dell’opera e le buone intenzioni nel mandare un ben messaggio chiaro e tondo allo spettatore, ma nulla di questo riesce a trovare una quadra abbastanza concreta per non far irritare lo spettatore sul breve periodo.
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