
Appunti sparsi sul libro “Joe Wright. La danza dell’immaginazione” di Elisa Torsiello
December 4, 2020Cos’è il vero nella finzione cinematografica? È questo l’interrogativo con cui ci s’imbatte nelle prime pagine di Joe Wright. La danza dell’immaginazione, da Jane Austen a Winston Churchill, volume scritto da Elisa Torsiello per la casa editrice Bietti. Un quesito, quello sul vero, che non solo funge da filo conduttore tra le varie pagine, ma che rappresenta un arrovellamento che accompagna la storia del cinema fin dai suoi albori, fin cioè da quando era un semplice esperimento. Rappresentare il vero, mettere in scena il vero, documentare il vero. Un problema che ha messo in crisi tanto i cineasti quanto gli spettatori perché la verisimiglianza assume tonalità e contorni differenti a partire dalla prospettiva con cui la si guarda.
Anche agli occhi meno esperti, di sicuro c’è che la filmografia di Joe Wright è (da) sempre improntata al realismo, alla cura maniacale per i dettagli, alla ricreazione storica. Un tale patto che si stringe con le epoche, con il tempo addietro, può essere spiegato solo con una sensibilità fuori dal comune o, se non altro, che non tutti i registi hanno. Torsiello ci racconta dei primi anni di Wright e sono pagine illuminanti: la famiglia dell’allora piccolo Joe ha un laboratorio di marionette e un teatro. Creature inanimate che prendono vita ogni giorno. L’imprinting non può che arrivare da qui, ma, anni dopo, dislessico e complessato per questo suo problema, è solo attraverso le immagini impressionate sulla pellicola del suo Super 8 che il giovane Wright riversa tutto quel che non riesce a dire con la voce. L’autrice del libro scrive: “Nei suoi film le immagini vincono sul parlato: la sottrazione del verbo suggerita dalla dislessia stimola il pensiero creativo e provoca quell’ossessione per i dettagli che sarà tra i punti di forza del suo modus operandi.”, a fare il resto c’è l’innamoramento per il cinema di David Lynch o l’avere come filmmaker di riferimento Ken Loach o Alan Clarke (anche per l’affrontare dinamiche sociali).
Wright rimane orfano di padre a 19 anni, il suo primo corto è del 1997 ed è un successo. Col nuovo millennio inizia la carriera registica sul piano professionale. Gli esordi televisivi, benché “acerbi” e ancora lontani dallo stile che lo contraddistinguerà, sono il primo test utile a confrontarsi con sé, col pubblico (possiamo immaginarci che l’indice di ascolto rievochi in lui le reazioni dei genitori di fronte al numero di biglietti staccati per gli spettacoli), con il dover gestire una crew di tecnici bisognosi di una guida, il dover dirigere degli attori. In carne e ossa. Appena trentenne lavora già con professionisti del calibro di Timothy Spall e Lesley Manville. Con Carlo II anticipa la cura meticolosa per la ricostruzione storica di Darkest Hour. La via è tracciata, la gloria lo attende, il resto è storia. Una storia ancora in corso. Plasmare Churchill sul volto e il corpo di Gary Oldman? Forse l’apice finora.
L’impegno con cui Elisa Torsiello ha raccolto la vita di Joe Wright, incollando assieme i vari tasselli della sua parabola dentro e fuori dal set, è quella con cui si fabbricano statuine di ceramica e poi le si dipinge. Mani d’artigiano ci vogliono. La fragilità del materiale con cui si dà forma a una figura è al contempo il motivo per il quale ha tutta questa importanza agli occhi di chi guarda, contempla. Una biografia, soprattutto nel suo non presentarsi come definitiva bensì in divenire essendo l’artista ancora attivo, ha il valore di un’opera dell’artista stesso.
Si può fare affidamento al credo che persona e regista non debbano essere giudicati assieme, che l’arte vada sempre valutata a parte, ma alla fine bisogna sempre confrontarsi con l’esistenza di chi ha prodotto qualcosa di mirabile. Come nel caso di Joe Wright. Ed è un libro come quello di Elisa Torsiello a illustrare al lettore quanto le due esperienze, terrena e artistica, confluiscano l’una nell’altra.
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