TSFF32: Appunti sparsi su Ultimina di Jacopo Quadri

TSFF32: Appunti sparsi su Ultimina di Jacopo Quadri

January 29, 2021 0 By Simone Tarditi

La lunga salita per raggiungere il cimitero. Gradini di pietra e nessun mancorrente, non il massimo per un passo malfermo. Ultimina Capecchi rivolge alle lapidi un “Buongiorno”, agli interrati un “Ciao a tutti”. Un saluto sentito, non tanto per fare. Se potessero i morti le risponderebbero da dietro i loculi di marmo. Ci sono il marito, i fratelli, le sorelle, i suoceri, le amiche. Li raggiungerà un giorno, ma per ora si prende cura di loro. Certo che se qualcuno andasse a togliere le erbacce …

Maglie di lana che pizzicano, scarpe rotte, tutto il giorno a guardar le pecore. I ricordi di Ultimina riguardanti la sua infanzia sono connotati da una nostalgia che non la si potrebbe paragonare a un desiderio di ritornare indietro a rivivere quei momenti. “Non ero mai stanca, lavoravo quanto c’era”, la sua vicenda umana è figlia di un’epoca dove la condizione generale, per chi stava nelle campagne, era di semianalfabetismo, fatica vera e povertà. La durezza di quell’esistere era resa ancora maggiore da un patriarcato opprimente anche quando, come nel suo fortunato caso, non coincideva con la prepotenza o la violenza. Un carattere forte come quello che ha sempre avuto l’avrebbe comunque aiutata a difendersi, qualora ce ne fosse stato bisogno. Superati gli ottant’anni, eccola ancora lì a occuparsi della terra e delle sue incombenze quotidiane. Sola e indipendente.

Il documentario di Jacopo Quadri, presentato alla trentaduesima edizione del Trieste Film Festival, si priva di ogni orpello, fa a meno di commenti in voice-over e lascia parlare quest’anziana donna senza interromperla, permettendole di divagare, cioè di passare da un aneddoto all’altro anche quando essi sono molto lontani tra di loro e spesso riguardano individui a malapena mostrati in foto. Di loro resta un nome, di Ultimina il volto scalfito dal tempo, la voce, l’energia mentale di una ragazzina. Quella ragazzina che giovanissima si sposò perché ai tempi le cose andavano così e basta. Quella donna che oggi, tutte le mattine, si alza e cura l’orto prima di fare colazione.

Perché di Ultimina non si può parlare che bene? Perché il regista in una sessantina di minuti appena e con una sola interprete dimostra cosa un documentario debba tradizionalmente essere: il contenitore di una storia vera, con zero alterazioni, interpolazioni, interpretazioni. Un ritratto, quindi. Un’istantanea di chi si è stati e di chi si è. E per fare qualcosa del genere sono sufficienti molti pochi strumenti e un budget ridotto – s’immagina – all’osso. Più che una lezione di cinema è un invito affinché altri facciano lo stesso perché sarebbero ancora infinite le vie della memoria altrui da percorrere. Si perderà un patrimonio etnoantropologico se non si troverà un modo per raccogliere questo tipo di materiale. Ad maiora

Simone Tarditi
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