Il tipico American Psycho di Mary Harron

Il tipico American Psycho di Mary Harron

February 20, 2021 0 By Gabriele Barducci

In qualche modo, sul set di American Psycho, Mary Harron si è approcciata al personaggio di Patrick Bateman come un “tipico buffone”.
Lo sapeva già Bret Easton Ellis quando scrisse l’omonimo romanzo nel 1991. C’è la nostalgia degli anni 80′, come la loro stessa demonizzazione veicolata dal rampante Bateman che seduto dietro la sua scrivania tiene impilati tanti e diversi libri scritti da Donald Trump, ad oggi uscente Presidente degli Stati Uniti. Il messaggio, facile da interpretare, è il solito: l’annientamento del prossimo per il beneficio personale.

Mary Harron parla con Ellis, il tipico americano indossa gli abiti di Patrick Bateman. Lo stesso Ellis, nella promozione di Bianco nel 2019 articolava un pensiero che, ad oggi dopo quattro anni di Trump e alcuni attori che si sono rivelati essere suoi forti sostenitori, sembra quasi profetico: “Tutta Hollywood vota Trump, ma non lo dicono”. L’estremizzazione – filtrata dalla stessa Harron in un chirurgico adattamento del romanzo – è lo specchio dell’ideale e falsa libertà degli anni 80′, dove ognuno pensava di poter fare qualunque cosa. La mancanza di un limite o di un pensiero contrario, ha legittimato queste figure di nuovi ricchi o scalatori dell’alta finanza, rendendoli al pari di piccole divinità di Wall Street, di quelli che spendono soldi al vento per avere l’appartamento più costoso o più vicino a una delle tante dimore dell’idolo Trump.

Patrick Bateman uccide e sevizia bambini, donne e colleghi che riescono a fermare un tavolo al Dorsia, il locale più in voga del momento, quello dove Donald Trump si reca spesso e viene fotografato. Il giovane ha la necessità di convincersi che le persone che sta uccidendo – o in alcuni casi, mangiando – siano il nulla. Sono persone senza reddito, senza proprietà, senza alcuno scopo nella vita, donne comprese, ridotte a oggetto di sfogo o contenitore sessuale.

Sensazionale è l’interpretazione di Christian Bale, calato perfettamente nei panni di un giovane rampante, armato di coltello e biglietto da visita con il ruolo da vice presidente. Lo stesso biglietto lo avranno tutti gli altri suoi colleghi, segno di un’omologazione malsana, dove la concorrenzialità passa ovunque, dal sarto per i vestiti al barbiere più raffinato e costoso e l’eliminazione del concorrente, Patrick Bateman, la prende alla lettera.

La costruzione estetica di Mary Harron è un mondo patinato e allucinato, un concentrato di ultra violenza che non risparmia nemmeno le donne e proprio qui la Harron gioca la carta della misoginia come del razzismo, messaggi che Trump durante la sua breve Presidenza ha fatto, tacitamente, suoi. Di quel famoso Edonismo Reaganiano, American Psycho ne rappresenta uno specchio chiaro e lucido. Se lo stesso romanzo alla sua uscita fu criticato, l’accoglienza per il film fu medesima, in particolare ci si chiedeva perché la stessa Harron si sia imbarcata in un progetto del genere.

Eppure, in questa follia patinata, proprio la figura delle donne, seppur obiettivo di violenza, sono le uniche concretamente calate nel contesto, in particolare il personaggio della segretaria di Patrick Bateman. Se nel romanzo il ruolo è medesimo, ma leggermente marginale, nel film rappresenta forse l’unico momento di lucidità e aderenza alla realtà per il protagonista, mostrando il cedimento strutturale di un sogno americano falso, seppur patinato, il tutto portato avanti proprio dalle donne, quelle considerate inferiori. Un’arma letale puntata alla nuca di lei, lui pronto a fare fuoco, ma un briciolo di sentimento vero, senza filtri economici o glamour, riconnette Patrick alla realtà, quasi non si riconosce più. Ritrae la mano, invita la ragazza ad uscire, lui le potrebbe fare qualcosa di male e non lo merita, perché è vera.

Ad oggi American Psycho è alla stregua di un “piccolo” cult e lo stesso ritmo narrativo dettato dalla regia ha aiutato nel corso del tempo (più di venti anni!) questo status. Esattamente come nel romanzo, il film può essere bevuto a piccoli sorsi, piccoli avvenimenti, una manciata di minuti o un evento ben preciso. Particolarità di questi segmenti è che possono vivere perfettamente nel piccolo minutaggio. Mai come in tanti altri film, American Psycho sembra essere stato realizzato per approdare senza problemi – e dunque essere fruito anche in questo modo – su YouTube, a piccole sequenza. Tutte, dall’apertura alla chiusura, sono una sfaccettatura nitida del messaggio che si vuole raccontare, dalla scena dello scambio dei biglietti, a quella della lavanderia, partendo dalla routine quotidiana di Patrick Bateman.

Proprio qui risiede una delle finestre morali del film: la ciclicità degli eventi e la testardaggine di rimanerci dentro. Proprio quando Patrick ha la possibilità di uscire fuori da questa follia, mollare la presa come la competitività sociale quanto lavorativa, egli rifiuta, consapevole della sua situazione, e abbraccia la follia. Lì tutte quelle cose, quei soldi spesi e quelle perversioni possono avere un senso, un contorno, un contesto adeguato.
Rifiutare la realtà, per vivere nel proprio sogno schizofrenico.

Gabriele Barducci