
Berlinale71: Courage, documentare la necessità di una democrazia che non c’è
March 6, 2021 0 By Mariangela MartelliAliaksei Paluyan rompe l’assenza ventennale del cinema bielorusso alla Berlinale, proponendo il documentario Courage, in concorso alla 71esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. L’opera testimonia la cosiddetta Rivoluzione delle ciabatte, iniziata la notte dello scorso 9 Agosto 2020, in cui gli abitanti di Minsk si sono riversati in strada, per protestare pacificamente contro le elezioni presidenziali del loro paese. La rivolta è nata dall’esigenza di far sentire ancora una volta la propria voce dissenziente nei confronti del regime di Aleksandr Lukashenko, al vertice dal 1994, senza soluzione di continuità. Il presidente, definito l’ultimo dittatore d’Europa, ha accentrato nel corso di un quarto di secolo il potere nelle proprie mani: il controllo assoluto sui mass-media ha, di fatto, eliminato la libertà di espressione dei bielorussi. Tra coloro che si sono opposti, molti sono stati arrestati, rapiti, uccisi.
Il titolo del documentario è da leggersi nella duplice accezione: è rivolto sia al popolo bielorusso che, in modo pacifico, chiede gli siano riconosciuti i diritti fondamentali, negati dall’attuale regime, sia al regista stesso che ha documentato l’ondata di proteste e che è riuscito, in extremis, a portare le riprese fuori dal paese natale, prima che i confini virtuali venissero bloccati. L’intento dell’autore è quello di far conoscere la testimonianza di coloro che resistono, sopravvivono e che continuano ad andare contro la dittatura, in nome di una democrazia negata. Tra gli oppositori del regime spiccano i tanti intellettuali e personalità artistiche. Il regista Paluyan, non a caso, sceglie di dar voce a tre attori, che diventano i protagonisti in Courage: Maryna, Pavel e Denis fanno parte di una compagnia teatrale underground della capitale. La situazione negli ultimi 15 anni non ha portato i cambiamenti tanto auspicati, così i tre, hanno dovuto lasciare il Minsk State Theatre per il Belarus Free Theatre. Le prove degli spettacoli si svolgono in segreto, in collegamento via Skype con il regista (esiliato): un esempio di rimediazione che Paluyan sceglie di catturare all’interno dell’immagine filmica, in un gioco di specchi tra lo schermo del pc e il dispositivo filmico. Tra i protagonisti c’è chi lavora in officina, chi si prende cura del figlio piccolo e chi ha rinunciato a recitare per proteggere i propri cari, nella consapevolezza di aver “tradito l’arte”. La resistenza dei tre attori è la stessa che il popolo bielorusso si ritrova a vivere ogni giorno, dividendosi tra routine e (spesso) attività clandestina. Durante la già menzionata notte delle elezioni, i protagonisti rimangono coinvolti nel vortice delle manifestazioni, unendosi alla folla in ciabatte (per il caldo di Agosto) e in mascherina (a causa del Covid-19). Il vocìo aumenta, gli slogan urlati si mischiano ai clacson delle autovetture. Gli smart-phone tenuti in alto, in un gesto teso a esibire l’oscuramento di Internet da parte del regime, avvenuto durante la votazione presidenziale.
Le lunghe sequenze in Courage sono un tentativo di catturare la fuga dei manifestanti dai pestaggi della polizia anti-sommossa. In una ripresa l’operatore cade: l’immagine si capovolge e diventa nera. Il voler vedere dello spettatore, capire cosa sta succedendo si sovrappone alla necessità dei manifestanti di fare luce sugli accadimenti: il loro essere parte dell’evento (che a partire da quella notte si snoda in una serie di proteste non-violente) è un modo per portare avanti una ricerca della verità. Sono 26 anni che il regime non risponde alle domande della gente comune: che fine hanno fatto i politici, gli artisti, i giornalisti, i blogger e tutti coloro che si sono opposti alla dittatura? In una scena viene ripresa una fila composta da madri, sorelle, mogli che, davanti al carcere, stanno aspettando di ricevere notizie dei loro cari. La lunga attesa viene spezzata dalla lettura della lista dei nomi; mentre gli abbracci della sera della scarcerazione di alcuni manifestanti si contrappongono alle immagini delle violenze che crescono in piazza. Le proteste infatti, vanno avanti per diversi giorni: con l’aumentare dei manifestanti, aumenta in modo proporzionale anche il numero dei poliziotti anti-sommossa: in una scena vediamo i due fronti schierati uno davanti all’altro, separati da un monumento del regime.
Il regista, classe 1989, ha iniziato la carriera cinematografica nel 2014, girando corti-documentari per poi farsi notare dalla critica con recenti lavori quali Country of woman del 2017 e Lake of happiness del 2019. In Courage è interessante la scelta di Paluyan di sublimare il dramma della contemporaneità bielorussa attraverso la rappresentazione teatrale. All’interno del documentario ci sono vari spezzoni dello spettacolo del 2015, Zone of Silence. In una scena l’attrice interpreta il ruolo di una donna arrestata e interrogata; mentre in un’altra ci viene mostrata l’irruzione da parte delle milizie all’interno di un’abitazione privata. Il pestaggio finzionale della pièce è un’eco alle violenze reali commesse nel paese. Sul palco, i tre protagonisti danno voce alle ansie, dubbi e paure di molti: restare o esiliare? Che futuro dare ai propri figli? Cosa (non) è cambiato in questi anni? La necessità di una democrazia, il tanto auspicato cambio di potere prende corpo sia in modo ironico e leggero, come durante la canzone dei due attori; sia grazie all’utilizzo di materiale d’archivio. I filmati di repertorio, inseriti in incipit e in chiusura, mostrano le proteste avvenute nella recente storia del paese: dall’indipendenza del 1991, alle attuali prese di posizione contro il regime. Una scelta, quest’ultima, che se intrapresa non è priva di conseguenze. L’immagine che più colpisce è quella della catena umana: un legame che dà forma all’architettura circolare del documentario e a cui i parenti delle vittime si tengono ben saldi. Resistenza e memoria sono i valori che si intrecciano nel film e che danno il coraggio, a chi è rimasto, di continuare a chiedere verità e democrazia. Le foto mostrate dai familiari durante le manifestazioni, immortalano i volti delle persone scomparse, torturate, giustiziate. Il film è a loro dedicato.
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