Musica e distanza in Farewell Amor di Ekwa Msangi

Musica e distanza in Farewell Amor di Ekwa Msangi

April 20, 2021 0 By Alessia Ronge

Esordio della regista Ekwa Msangi Farewell Amor (2020) racconta l’esperienza dell’immigrazione con un approccio personale, ma anche universale. La storia raccontata, presentata in anteprima al Sundance Film Festival, è stata ben accolta dalla critica; in Italia è disponibile sulla piattaforma MUBI.

Prima di Farewell Amour

La storia raccontata deriva da un precedentemente cortometraggio del 2019: Farewell meu Amor. La regista se nel corto si sofferma più sulla tematica dell’amore, nel lungometraggio si concentra su una storia di sradicamento e ricongiungimento. La trama ruota attorno a un padre angolano che ha lasciato il paese devastato dalla guerra civile per sostenere dall’estero, a New York, la moglie e la figlia nel frattempo sfollate in Tanzania. La famiglia si ricongiungerà dopo ben 17 anni di separazione.

La volontà di Ekwa Msangi è la quella di lasciare sullo sfondo un discorso di denuncia politica, senza rinunciare però alla sua potenza tematica, preferisce così soffermarsi su tutte quelle complesse dinamiche relazionali che si susseguono in un ristretto bilocale di Brooklyn. Il film decide di cedere così il passo ai piccoli aggiustamenti e alle interazioni dei tre attanti piuttosto che riprendere enfatici litigi e drammi.

La messa in scena della separazione

La regista Msangi mette così in scena una ricomposizione che a sua volta svela una ferita aperta e da ricucire. Antropologicamente è la donna che nel fenomeno della migrazione si fa garante del ritorno; qui è invece la stessa separazione a divenire il vero tema della pellicola. I tre protagonisti, nel corso del film, operano proprio nel mettere in scena “la separazione”: il padre Walter ha interrotto una relazione importante, la moglie Esther diventata una fervente cristiana ossessionata dal peccato e, infine, la figlia Sylvia si ritrova ad affrontare la scuola americana e una passione per la danza ostacolata dalla madre. La storia quindi opera alternando i tre punti di vista in capitoli sovrapposti, tramite uno stile realistico verso i corpi ripresi; testimoniando così più un approccio da scrittrice impressionista piuttosto che da regista. L’idea della messa in scena arriva, ma solo nel parte finale tramite un’inquadratura contraddistinta da una lunga dilatazione temporale in cui il tempo e lo spazio aderiscono al vissuto; complice anche il lungo e stretto corridoio dell’appartamento che permette di enfatizzare ancor più il tutto.

Si noti, inoltre, come la separazione geografica è sostituita col tempo da una distanza emotiva scoraggiante: Walter reagisce all’attesa con una grande forza propulsiva, ma l’equilibrio conquistato a fatica sarà presto spezzato dall’arrivo, sebbene atteso e desiderato, del resto della famiglia. La moglie Esther ne esce invece trasfigurata, prigioniera di una fede religiosa cieca, non efficacie e onerosa, ormai abituata a un immobilismo che la rende irriconoscibile agli occhi del marito. La figlia Sylvia nasconde nei silenzi una grande vitalità che trova spazio di espressione nella danza; quest’ultima si dimostra la chiave d’accesso a un territorio comune per tutti e tre i famigliari.

Farewell Amor e il discorso musicale

La ricchezza di Farewell Amor risiede proprio nel repertorio musicale eclettico e fecondo che riflette, senza indugi meditavi, sullo stato emotivo dei personaggi tra brani di cantautorato angolano, musica kuduro e travolgenti canti gospel. Complici è sicuramente la regia estremamente discreta, intima e femminile che permette di enfatizzare al meglio i movimenti lenti e sensuali della kizomba, tra le luci calde del locale e un crescendo musicale immersivo. Uno spazio musicale che sembra raccontare l’attaccamento per l’Angola, e contestualmente anticipa la nostalgia per l’imminente rottura. Al contrario la musica che definisce l’adolescente Sylvia è tutt’altro che malinconica, ma ha piuttosto il ritmo, la rabbia e la coinvolgente carica energetica del kuduro. Da non dimenticare le riprese dei marciapiedi del quartiere East Flatbush accostate alle note del cantautore angolano Bonga che sembrano suggerire il punto di partenza e l’approdo di un’intera comunità.

Sebbene i dispositivi narrativi diventino via via che si procede nella storia sempre più convenzionali e prevedibili, la ricchezza della storia si preserva grazie all’attenzione e alla sincera risposta delle scelte musicali, che sono il vero vettore emotivo della storia. Non è un caso, che sarà proprio la musica e la danza a prestarsi come il giusto linguaggio per ricostruire i presupposti di questa nuova famiglia.

Farewell Amor diviene così un’opera in cui lo sguardo di tre personaggi si riunisce e si ritrova nel comune linguaggio musicale. Un film d’esordio pacato, dolce, suggestivo e con una regia educata e mai invasiva; una vera piccala perla.

Alessia Ronge