Zeroville di James Franco diventerà un cult, ma non lo è ancora

Zeroville di James Franco diventerà un cult, ma non lo è ancora

June 14, 2021 0 By Simone Tarditi

Prima di venir gettato nel gorgo dei peccatori, di essere messo all’indice dal movimento #MeToo e di finire (momentaneamente?) in una lista nera, James Franco si trovava al culmine della sua ricerca espressiva nella doppia veste di regista e attore. Tanti sono i film girati nel quadriennio antecedente al 2017, quasi tutti progetti di matrice letteraria: Charles Bukowski, Tennessee Williams, John Steinbeck, Cormac McCarthy, William Faulkner. Con The Disaster Artist viaggia sulla cresta dell’onda (è sintomatico quanto, agli occhi del grande pubblico, ogni suo sforzo nel genere drammatico passi in secondo piano rispetto a una commediola agrodolce), poi segue una fase di declino e di stasi.

A metà 2021 Zeroville, una delle sue ultime creazioni, arriva sul web. Silenziosamente, senza fare rumore alcuno. Nessuno ne parla quasi. James Franco interpreta Vikar, un costruttore di set talmente ossessionato dalla figura di Montgomery Clift e dal film A Place in the Sun da essersi tatuato sulla nuca i volti dei protagonisti. In un continuo avanti-indietro temporale tra il 1969 e il 1980, il protagonista, pressato da ogni parte e richiesto ovunque, fa carriera diventando runner, assistente, montatore, regista di seconda unità, addentrandosi e perdendosi nell’industria hollywoodiana. Il leitmotiv di Zeroville è proprio questo: il movimento costante, senza sosta o soluzione di continuità, da una location all’altra, da un momento X a quello successivo / precedente. Ed è così che, quasi non accorgendosene, si passa dalle indagini sull’omicidio di Sharon Tate (Vikar, agnello sacrificale, viene accusato di esserne il responsabile per poi essere subito rilasciato) alla lavorazione di Apocalypse Now nelle Filippine e all’uscita di Toro scatenato nelle sale. C’è persino un breve capitolo ambientato durante la Mostra del Cinema di Venezia, con tanto di cameo di Alberto Barbera nei panni di se stesso direttore del festival.

Che l’effetto sia voluto o che sia invece dovuto a forze di causa maggiore, Zeroville è un film sconnesso, illogico, imperniato su anacronismi che finiscono col demolire ogni umana concezione spazio-temporale (questo sì, è un risultato maledettamente ricercato). A tratti segue le orme di una narrazione sciroccata alla Vizio di forma, a tratti invece percorre vie originali, prende scelte coraggiose. Si pensi a tutta la parte finale, la migliore, con la ricerca da parte di Vikar della donna del suo destino, Soledad “See you in the movies” Paladin, nei fotogrammi dei film in cui lei si manifesta – vere e proprie apparizioni! – pur non essendone l’attrice protagonista e neppure una comparsa. È la caccia a un’immagine sacra, a un’effigie, a un’icona, compiuta con religiosa dedizione. Questa lunga sequenza fatta di pellicole mozzate, esaminate, aggrovigliate vale da sola l’intera visione di Zeroville, un titolo che i cinefili prima o poi scopriranno e rivaluteranno, bollandolo come autentico cult movie. Che nel frattempo scompaiono anche le stimmate su James Franco, questo solo il futuro potrà dirlo. Una menzione fin da ora la merita però Megan Fox, che nel ruolo affidatole (la misteriosa Soledad succitata) è quella che ne esce meglio di tutti.

Simone Tarditi