
Old, piaccia o meno, è l’essenza del cinema di Shyamalan
August 1, 2021 0 By Gabriele BarducciAppassionarsi o denigrare il lavoro di M. Night Shyamalan.
In quelli che sono quasi 25 anni di carriera, il regista indiano ha visto alti e bassi, cover di riviste che timidamente provavano ad azzardare paragoni con altri nomi altisonanti dell’industria cinematografica, inquadrando uno stilema ben preciso, quello del grande narratore, omettendo quello che ha reso di diventare Shyamalan un vero e grande Autore del panorama, ovvero una cura per l’estetica quanto una peculiare messinscena che si sposa ad una tecnica ben precisa, mai banale, sempre fuori dagli schemi e che in molte occasione si confonde – alcune volte sbagliando, altre no – a una precisa idea di sperimentazione.
Dopo il successo di Split è saltato agli occhi di tutti che lo stile pacato e intimo delle prime produzioni, è notevolmente mutato in qualche di inafferrabile, a cui lo spettatore medio fatica a dare una forma e anzi, l’assenza di quest’ultima, infastidisce molto chi cerca un senso finale, un obiettivo da premiare.
Con Glass, a chiusura della sua personalissima trilogia dei supereroi moderni, la verità si palesò davanti a tutti: Shyamalan non è in un punto di fine, bensì nel pieno di una rivoluzione interna. La morte, che fornisce un senso a tutto ciò fatto nella vita, ancora non è sopraggiunta. Cade incredibilmente bene dunque il suo ultimo lavoro, Old, tratto dalla graphic novel Castello di Sabbia di Pierre Oscar Lèvy e Frederik Peeters, incipit da cui Shy prende liberamente spunto per poi plasmare nel finale il suo messaggio, il più famoso Shyamalan-twist, ancora una volta al servizio del suo sguardo a cui costruisce una storia, un costrutto, un ricordo che solo il cinema riesce a comunicare.

Dunque finché i protagonisti rimangono giovani e consapevoli di quello spazio metafisico dove il tempo scorre velocissimo (una nostra mezz’ora lì equivale a un anno di vita) il ricordo, la memoria e dunque il valore dell’immagine, cornice dove si muove il Cinema, continua ad avere un valore. Più passa il tempo, più la vecchiaia incombe, il passato diventa offuscato, la memoria si perde, la vista cala come l’udito. Rappresentare e vedere la vicenda da quei punti di vista, adesso così vecchi e anacronistici, rende l’ultima notte nella spiaggia più romantica e tenera.
Abbandonati al loro destino, la senilità comincia a serpeggiare nei corpi e nella testa di chi fino a ieri era un bambino di 8 anni e ora ne hanno circa 50. Old dunque è un film che guarda, ragiona e rapisce lo spettatore facendo domande sul tempo, ma ancora più importante è il punto di vista della famiglia protagonista, che incapace di realizzare concretamente ciò che sta succedendo, ha il terrore più grande, quello di vedere i figli crescere senza infanzia, senza sogni, senza speranza.
La parabola ecologista, tema caro al regista, prende e impatta sul finale. L’uomo e la natura continuano a coesistere, ma c’è un totale squilibrio, e dove possibile, quest’ultima cercherà la sua via per fuoriuscire da una situazione di stallo. Storia già vista e raccontata in qualche modo nel discutibilissimo E venne il giorno, dove Old si fa portatore spirituale, ma questa volta più maturo, più attento ai dettagli, essenzialmente più Shyamalan.
Esattamente come successo con il bistrattato Tenet, l’equazione è delle più semplici: Tenet sta a Christopher Nolan come Old sta a M. Night Shyamalan.
Niente di più, niente di meno.
`Cause tramps like us, baby we were born to run"
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