
Il richiamo della deformità in Titane
October 6, 2021 0 By Simone TarditiIntrodursi dentro Titane, tra corpi di carne e metallo. Qualcosa di non semplice, soprattutto se si vuole costeggiare soltanto marginalmente tutto quel tessuto tematico riguardante il rapporto tra esseri umani e macchine, già nucleo di riflessioni ampissime nel campo della fiction o in quello degli studi scientifici. A tal proposito, per sintetizzare un aspetto che la cineasta Julia Ducournau intende abbracciare con il film, è sufficiente quanto suggerito dall’inquadratura finale: una co-esistenza frutto di desiderio e ricerca, ma anche un punto di non ritorno superato ormai da tempo. Una meditazione, la sua, su uno stato di fatto più che una previsione del futuro prossimo.
Tolto questo, e tolto anche il pensiero di un processo evolutivo dove la disumanizzazione sarà accompagnata da una nuova sensibilità, Titane rimane un caso isolato tra gli abituali titoli che, con fatica o meno, riescono a raggiungere il vasto pubblico. Un’opera inassimilabile tutta d’un colpo. Un’opera impossibile da metabolizzare per intero a una prima visione. Complice il fatto che si tratta di un film che fa ogni cosa per non piacere, per disturbare nel profondo, ossia molto più che per quei due o tre elementi giganteggiati dalla stampa e che si fanno notare poiché immediati (la fecondazione attraverso un autoveicolo, l’abuso di steroidi, la transizione tra generi, siano quelli del cinema o quelli sessuali). Centrale fin dai primi minuti, in Titane il richiamo alla deformità procede di pari passo con quello verso l’ibridazione, l’imbruttimento di sé. Alexis, la protagonista, ha sembianze androgine dal primo istante in cui ci viene mostrata e il suo successivo trasformarsi non è solo figlio dell’autolesionismo: l’azzeramento delle proprie sembianze si origina da un percorso già tracciato, da un destino che quindi prescinde dall’insorgere interno di una modificazione di chi si è. L’Alexis adulta è la proiezione di chi era da bambina: furiosa, tormentata, disturbata, diversa. La furia omicida è dovuta a un oleoso agente che si potrebbe definire patogeno, ma è anche uno degli istinti primordiali che dall’alba del regno animale ha forgiato questo pianeta. La cicatrice-embrione sul lato della testa? Un ponte tra il venire alla luce e il dare la vita a un altro organismo. Che uccide, prende il posto e cambia i paradigmi. In un progresso di annullamento e sostituzione.
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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