The Beatles: Get Back, ritornare ai Fab Four

The Beatles: Get Back, ritornare ai Fab Four

December 14, 2021 0 By Mariangela Martelli

La miniserie The Beatles: Get Back di Peter Jackson articola, nel corso delle tre puntate, il progetto che nel Gennaio 1969 ha portato i Fab Four al loro ultimo album insieme (Let it be) e al celebre concerto sul tetto degli studi di Abbey Road. Il regista neozelandese ha utilizzato una parte dei filmati originari di Linday-Hoog (60 ore di girato e 150 ore di registrazioni audio), condensandole in un documentario di otto ore. Come leggiamo nelle didascalie, in apertura a ogni episodio, le scelte di montaggio sono state prese per garantire una ricostruzione appropriata degli eventi. L’obiettivo della registrazione dell’album rimane ma, in corso d’opera, cambia la cornice per l’esibizione dal vivo. Se in apertura, il gruppo è collocato all’interno del teatro di posa di Twickenham (periferia di Londra), in vista dello show televisivo, nella seconda puntata i quattro si trasferiscono presso gli studi della Apple Records, nel centro di Londra. Tutti e tre gli episodi sono scansionati in tappe giornaliere, contrassegnate sul calendario, di volta in volta. Una full immersion in compagnia dei Beatles, tra fasi creative e spensierate ma anche difficoltà e momenti di tensione. Immancabili, nel backstage, le tazze a righe con il tè all’inglese, i toast e le sigarette.

1° episodio, trovare il giusto ritmo

Il primo episodio è incentrato sulla prima settimana di lavoro e si apre con una mappa di Liverpool, ripresa dall’alto. Siamo nella città natale dei Fab Four, nel 1956. Una rapida carrellata sintetizza i successi della band: da Amburgo al Cavern, passando per l’entrata di Ringo e del “5° Beatles”, il manager Brian Epstein. Ma anche lo scoppio della Beatlesmania con il primo tour in U.S.A, i film e il caso all’aeroporto di Manila. Segue la prematura scomparsa di Epstein e la scelta della band di registrarsi da sé, nei neonati studi Apple; gli arrangiamenti si fanno più strutturati e si lasciano contaminare dalle nuove sonorità, dopo il viaggio in India nel ’68. Le sperimentazioni continuano attraverso le più recenti tecniche di registrazione (i cambi di velocità, i loop e le tracce invertite) ma i quattro suonano sempre meno insieme, preferendo incidere i brani su tracce multiple separate. La Get Back Session di Linday-Hoog è il progetto sui Beatles, dopo una lunga pausa dai concerti dal vivo: la band è ripresa nell’arco delle tre settimane, in cui dovrà registrare i 14 pezzi per l’album d’addio. Fin da subito alti e bassi: la spensieratezza delle prove cede il passo alle preoccupazioni per la cattiva acustica del teatro-capannone: la volontà generale è quella di evitare un sound televisivo, sebbene sia questo il luogo in cui dovranno esibirsi. Paul non è soddisfatto delle registrazioni in Stereo8 e propone di suonare all’aperto, magari in un anfiteatro in Libia (!). I primi giorni trascorrono, tra le prove luci che colorano lo sfondo ai musicisti e gli schizzi della scenografia per lo show, mostrati loro durante le pause. Nel teatro ci sono anche l’immancabile Yoko Ono e un paio di Hare Krishna, amici di Harrison. Nella magia del processo creativo è rivalutato anche il materiale delle origini, composto ai tempi in cui Paul e John saltavano la scuola per suonare insieme. Si manifestano anche le prime insofferenze: avere una telecamera puntata addosso tutto il giorno, non aiuta Paul, già sotto pressione per il tempo che stringe. George sa che l’unica soluzione per trovare gli accordi giusti (e mantenere la calma) sia fare come vuole l’amico Paul. Per fortuna l’ispirazione non tarda ad arrivare e, una mattina, Paul prova le note del nuovo singolo, Get Back. Appena gli altri arrivano, si aggiungono nell’accompagnamento, in ultimo John, perennemente in ritardo. Sebbene le alternative per la location non siano ancora state trovate, la band ha bisogno almeno del giusto entusiasmo per scrivere i nuovi pezzi e per pensare allo show. Ricordando la disciplina ai tempi di Epstein, i quattro sono d’accordo sulla necessità di lavorare sodo, per memorizzare le nuove canzoni. Ritornano i momenti rilassati, in cui i Beatles si lasciano andare in cover e in chiacchiere su altri musicisti (Beach Boys, Eric Clapton, Rolling Stones, Ray Charles). Segue l’entrata in scena della moglie di Paul, la fotografa Linda Eastman, i cui scatti di Paul al piano (mentre prova The long and winding road, Golden Slumber, Carry that weight, Let it be) sono inseriti nel documentario di Jackson. Per quanto riguarda le aggiunte volute dal regista, a integrazione del materiale originario, troviamo anche l’audio-off dei pezzi (suonati nel documentario) in accompagnamento ai frammenti video: come per l’inserto di Rock and roll music (suonata in apertura del tour mondiale del ’66) e di Get back, alternata dalle scene di un servizio tg, sulle manifestazioni anti-immigrati. Il media televisivo diventa anche una fonte da cui attingere, come è stato per George con la sua I me mine, composta la sera precedente, dopo aver visto un programma di fantascienza e un documentario storico. Mentre George prova la nuova “Harrisong”, la coppia Lennon-Ono improvvisa un valzer. Tutto sommato, i Beatles si ritengono soddisfatti dei pezzi buttati giù durante la prima settimana e alcuni di loro si lasciano andare in un pezzo improvvisato, Freakout Jam, in cui Yoko urla. Purtroppo l’atmosfera chiassosa svanisce con il biglietto lasciato da George e trovato dopo pranzo, con scritto “ci si vede nei club”. La sua uscita di scena lascia tutti sgomenti e la riunione della domenica non riesce a fargli cambiare idea.

2° episodio, cambio di programma

La seconda settimana si apre sui saluti di George, visti come la causa della messa in crisi del progetto e del futuro della band. Il lunedì si presenta Ringo (sempre puntuale) a cui seguono Paul e Linda. I tre parlano del diverso rapporto con John, da quando c’è Yoko: Paul rimane in silenzio, con lo sguardo da un’altra parte. John li raggiunge per pranzo: spiamo la conversazione tenuta con Paul, sugli ultimi fatti, registrata da un microfono nascosto nel vaso sul tavolo. L’immagine è sulla sala da pranzo deserta e mentre sentiamo le voci-off dei due, ne leggiamo le battute nelle didascalie. Dopo pranzo John propone un nuovo incontro con George ma quest’ultimo rientrerà da Liverpool mercoledì. Il pomeriggio trascorre provando delle parole che suonino bene nelle strofe di Get Back, mentre Paul spiega che le vecchie canzoni seguivano un certo schema. Arrivano anche i set per l’esibizione e il regista, con cui i Beatles parlano dell’ipotesi di girare un film sulla session. Continuano gli screzi: Paul rimprovera a John la mancanza di disciplina, ma Lennon gli risponde per le rime no-sense, improvvisate nelle strofe. Le prove del giorno seguente sono annullate per il ritrovo con George, in cui la band riesce finalmente a prendere accordi sulla direzione del progetto. Lo speciale tv dal vivo è annullato e i quattro si trasferiscono presso gli studi di Abbey Road. L’ultimo giorno a Twickenham trascorre con Paul al piano che prova Oh! Darling, mentre i tecnici smontano il set. George è via, per un sopralluogo alla Apple ma non soddisfatto della strumentazione, si rivolge a George Martin, il quale ottiene un’attrezzatura portatile dalle EMI. Il team trascorre il weekend ad arrangiare un’attrezzatura di fortuna, connettendo le console di 2 mixer a 4 tracce per comporre da un banco di registrazione a 8 tracce. Sebbene il primo giorno non siano ammesse le riprese in studio, l’operatore intervista delle ragazze fuori, le quali esprimono il desiderio di vedere presto un concerto dei loro idoli. I Fab Four sono finalmente soddisfatti dell’acustica e vogliono incidere un album dal vivo, senza montaggi o sovraincisioni. Il film potrebbe culminare con uno spettacolo all’aperto, forse a Primrose Hill. Nel frattempo, molti articoli danno voce alla confusione del pubblico, dopo questo improvviso cambio di programma: alcuni giornalisti suppongono la fine dell’amicizia tra i membri. I Beatles non danno peso alla stampa: suonano delle cover in un’atmosfera rilassata e compongono dei nuovi pezzi, tra cui Dig a pony e All I want is you. Dal momento che la band non ha intenzione di sovraincidere, è necessario trovare un tastierista in più per registrare l’album e per l’esibizione dal vivo. Caso vuole che Billy Preston vada a trovarli durante le prove: l’amico afroamericano, conosciuto ai tempi di Amburgo, è un eccellente tastierista che ha suonato anche con Little Richard. Billy non rifiuta l’offerta di unirsi alla band e le prove tutti insieme risollevano il morale generale. La scadenza si avvicina e le prove continuano anche nel weekend. Seguono degli inserti dei filmati girati dai Beatles durante il soggiorno indiano, inframmezzati alla loro conversazione. Paul vorrebbe una qualità maggiore per le riprese della session, magari sostituendo la pellicola in 16 mm con una in 35 mm. I quattro parlano anche di far uscire un libro (da aggiungere al film) e dell’idea di registrare un album entro martedì. Purtroppo devono scartare Primrose e la difficoltà di trovare una location alternativa, in un paio di giorni, fa ripiegare la proposta del team verso il tetto del palazzo della Apple. Nonostante alcuni vedano con timore il peso della band e della strumentazione sul tetto, la nuova idea spazza via la stanchezza accumulata, infondendo una rinnovata carica: è deciso che il concerto si terrà mercoledì, ovvero 4 giorni dopo. FOTO 2

3° episodio, cronaca di un concerto che ha fatto storia

Manca sempre meno, Ringo compone al piano la sua Octopus’s garden, George e John si uniscono, sotto la supervisione del manager George Martin. L’atmosfera giocosa è infusa anche grazie alla presenza della figlia di Linda, coinvolta nelle prove. È registrata la versione di The long and winding road ma l’entusiasmo subisce un freno a causa dei ritorni tra il microfono e gli strumenti che rallentano le registrazioni; inoltre il meteo avverso costringe a posticipare il concerto di un giorno. La stanchezza è nell’aria: vengono definiti gli ultimi dettagli mentre John vorrebbe più tempo per assimilare i brani. Infine, il gruppo riesce a mettere insieme i 14 pezzi previsti per l’album e nelle prove pomeridiane ognuno cerca di memorizzarne gli accordi il più possibile. Dalle conversazioni nei momenti di pausa sono emerse le intenzioni di intraprendere delle carriere separate: dalla probabile collaborazione di John con il manager dei Rolling Stone, a George che ha già abbastanza materiale per un album e vorrebbe che anche gli altri provassero a fare qualcosa per conto proprio.

Arriva il 30 gennaio 1969, il giorno dell’ultimo concerto dei Beatles. Il documentario mantiene quasi un’oretta dei filmati della storica esibizione sul tetto della Apple, immortalata nel film di Linday-Hoog (Let it be – Un giorno con i Beatles, 1970). Per l’occasione sono state utilizzate 10 cineprese (di cui 5 sul tetto, 1 sul palazzo davanti, 3 per strada e 1 nascosta nella reception). Terminato il soundcheck mattutino dallo staff, il gruppo è pronto e inizia a suonare, tra lo stupore generale dei passanti per strada che, alzando la testa, non capiscono da dove provenga il suono che sta invadendo le vie. Tramite la tecnica dello split-screen, vediamo contemporaneamente la band suonare, le reazioni dei curiosi accorsi sui tetti accanto e le persone intervistate rimaste giù. Emergono opinioni pro e contro sul concerto improvvisato: purtroppo, a causa delle tante segnalazioni in poco tempo per “il volume troppo alto che impedisce il commercio nel quartiere”, interviene la polizia. Gli agenti però, rimangono bloccati nella reception della Apple per lungo tempo, come dei protagonisti in una candid camera. Di sopra, i Beatles continuano il concerto e alcuni pezzi sono eseguiti più volte per essere registrati, come Get Back, Don’t let me down e I’ve got a feeling. Alla fine, gli agenti riescono a salire e a interrompere la performance per disturbo della quiete pubblica. Lo show termina e i passanti si disperdono; poi i Beatles si ritrovano nello studio per ascoltare i risultati dell’evento destinato a entrare nella storia della musica. Per completare l’album Let it be, i quattro si danno appuntamento in studio per il giorno seguente: i brani rimanenti vengono registrati sui titoli di coda del documentario di Jackson.

Mariangela Martelli