Digerendo Spencer: nella gabbia dorata di Lady D

Digerendo Spencer: nella gabbia dorata di Lady D

January 5, 2022 0 By Simone Tarditi

Da cosa voglia fuggire la Lady Diana di Spencer è presto detto (e il suo comportamento è comprensibile), un po’ meno dove voglia dirigersi una volta slegata dagli obblighi di casa Windsor. E qui bisogna subito allacciarsi al finale che, se non proprio netto, un taglio col resto del film lo segna comunque. Accantonando la vera storia di Lady D dal momento che Spencer, diversamente dal più rigoroso Jackie, mira a restituire un’idea di personaggio, un bozzetto dalle sembianze realistiche, più che un ritratto ricco di dettagli, fino a che punto si può credere a un epilogo che ci mostra la protagonista lasciarsi momentaneamente tutto alle spalle (con sé solo i due figli) per trovare rifugio e conforto in un KFC? Certo, il fast food di cui si ammette adoratrice è una metafora del poter essere libera di fare quello che le pare, ma ciononostante quanto può essere triste, vacuo e insulso un desiderio del genere? Nell’ultima inquadratura, con quello sguardo rivolto altrove, la donna sembra non riuscire a starsi godendo nemmeno quel momento, vanificando forse il senso stesso dell’aver trovato il coraggio di correre dietro a quelle pulsioni che la illudono di sentirsi ancora viva e non un fantasma tra fantasmi. Tanto poi si sa come le andrà a finire.

Da parte dello spettatore, il processo volto a empatizzare con la protagonista è l’assunto stesso del film perché il mettersi nei suoi panni è tutto quel che si fa per le due ore di durata. Spencer ci trascina con sé in una bolla dove, da fuori, tutto appare bellissimo e perfetto mentre di fatto, dal di dentro, è un incubo. Nulla di nuovo, sì, l’approccio alla regia di Pablo Larraín però è di un fascino raro: repelle e cattura contemporaneamente, e, almeno sulla carta poiché il film ancora non è stato reso pubblico, sembra anticipare quel che sarà il Blonde di Andrew Dominik, simil-biopic altrettanto non canonico sulla figura di Marilyn Monroe. Più che al cuore di Diana, in Spencer si va al suo stomaco, al suo essere intollerante alle regole imposte dalla famiglia reale, al suo rigurgitare continuo dato dal non essere in grado di assimilare quello stile di vita, al suo non metabolizzare alcunché come se fossero gli enzimi della digestione a ribellarsi. La mente che si deteriora e la psiche frantumata riflettono lo stato di un corpo in dimagrimento più che il contrario: la parabola alimentare, specchio di un esistere infelice, trova compimento nella chiusa di cui si è già parlato all’inizio dell’articolo. Nel film, Diana Spencer non è un animale in gabbia, è lei stessa la prigione che si porta appresso ovunque vada.

Simone Tarditi