The Oratorio: rivivendo note del passato in compagnia di Scorsese

The Oratorio: rivivendo note del passato in compagnia di Scorsese

May 12, 2022 0 By Simone Tarditi

Come si può ricreare una serata del 1826? Come farla immaginare agli spettatori? Che strumenti fornire? Prodotto dalla PBS e orchestrato dai musicisti del Teatro Lirico di Cagliari, The Oratorio è il viatico per comprendere l’impatto culturale della tradizione operistica italiana al suo germogliare per la prima volta sul suolo americano. Un documentario con Martin Scorsese, non di. Questo avviso sulla locandina ha lo stesso potere attrattivo che avrebbe l’altra scelta di parole anche perché, nonostante il trio di realizzatori che firma The Oratorio (Mary Anne Rothberg – Jonathan Mann – Alex Bayer), il documentario in questione entra necessariamente in contatto con progetti scorsesiani lontani e vicini nel tempo. Il tour newyorkese nel quartiere d’infanzia del regista sembra uno spin-off, una puntata extra, un’appendice a sé stante di Pretend It’s a City (2021), senza lo humour di Fran Lebowitz, o una rivisitazione parziale e aggiornata di Italianamerican (1974), ma il viaggio prosegue poi anche attraverso il ruolo della musica in Mean Streets (1973) e in The Age of Innocence (1993), lo sviluppo urbanistico negli anni ritratti in Gangs of New York (2002).

Scorsese ci fa da guida, racconta gli eventi che hanno portato all’edificazione della St. Patrick’s Cathedral, quelli che l’hanno messa in pericolo, quelli che l’hanno preservata nel tempo, e spiega il ruolo cruciale che quel luogo ha avuto (e deve tornare ad avere) nel fare da collante tra le comunità di immigrati nel corso dei secoli intercorsi dal XIX°. Il cineasta classe 1942 cala se stesso tra il selciato, le vetrate, le lapidi, i muri perimetrali e il cancello che divide quel posto arcaico dalla città in costante ammodernamento, ed ecco che i cari ricordi d’infanzia vanno ad aggiungersi al quadro più grande che costituisce The Oratorio. La stessa esistenza del vero protagonista del documentario, Lorenzo da Ponte (1749-1838), sembra uscire fuori da una delle sue pellicole: costui, librettista di Mozart a Vienna presso la corte asburgica, fugge dal Vecchio Continente a causa di debiti insoluti e si rifugia nel Nuovo Mondo. Qui, partendo da una condizione di miseria, rinasce educando in veste di maestro numerosi pupilli in una scuola di musica. Una vicenda di redenzione, perno dei motori narrativi di tanto cinema fatto, o semplicemente amato, da Martin Scorsese.

La verità è però un’altra. Col suo fare, sì, didattico, ma mai pedante, The Oratorio sarebbe stato una delizia comunque, anche senza nomi illustri. E non solo per lo spiegare con estrema semplicità quanto New York sia tuttora crocevia per l’intersezione di vite, quanto piuttosto per la capacità di rendere appassionante un fatto avvenuto quasi duecento anni prima di cui non si hanno che poche, pochissime tracce. Parafrasando un passaggio del documentario: studiare la storia è una cosa, riviverla è un’altra. Ed essa, al pari dell’organo della chiesa che invecchia e che ha bisogno di cure, può ancora raccontare qualcosa se qualcuno si prende la briga di custodirla. Con The Oratorio siamo in buone mani.

Simone Tarditi