
The Misfits di John Huston: foto di gruppo al crepuscolo
May 27, 2022 0 By Mariangela MartelliGli spostati (The Misfits, 1961) di John Huston è la trasposizione su grande schermo del racconto The Mustangs (1956) di Arthur Miller.
Città di Reno, Nevada. La trentenne Roslyn Taber (Marilyn Monroe) è davanti allo specchio mentre prova a memorizzare le battute, non per uno spettacolo (sebbene sia una showgirl di Chicago) ma per la sentenza di divorzio. Ad accompagnarla in tribunale, l’amica e proprietaria dell’appartamento, Isabelle (in qualità di testimone per la 77esima volta) e il taxista Guido (Eli Wallach). Dopo la sentenza, le due donne vanno a bere qualcosa e, nel locale, incontrano Guido in compagnia di un amico cowboy, Gay (Clark Gable). Roslyn rimane affascinata dallo stile di vita “alla giornata” di quest’ultimo e, su consiglio dell’amica, la protagonista accetta di prendersi una pausa. Per il soggiorno, Guido le mette a disposizione la sua casa fuori città e già mentre Roslyn è in viaggio in macchina, assapora l’occasione di rigenerarsi nel silenzio del deserto del Nevada. L’odore della salvia e gli spazi sconfinati fanno da sfondo al quartetto, recatosi all’abitazione per un sopralluogo. La casa presenta delle stanze non-finite, come se fosse un cantiere messo in stand by: Guido mostra a Roslyn gli spazi interni, soffermandosi sulla fotografia delle proprie nozze, esibita sopra il letto. Il ricordo della moglie deceduta aleggia nella stanza e, nella sequenza che segue, si tenta di scacciare una certa malinconia diffusasi nell’aria, grazie a qualche drink e passo di danza in soggiorno. Roslyn respinge le avances di Guido e inizia una relazione con Gay, con la leggerezza di cui ha bisogno e che le fa dimenticare il tempo che passa. L’idillio sentimentale è destinato a incrinarsi, non appena Gay e Guido decidono di andare a caccia di cavalli selvaggi, dei Mustang, impresa necessaria ad entrambi per rimarcare la propria libertà e la condizione di essere “senza padrone”. Assoldano un terzo componente, l’amico Perce (Montgomery Clift), intercettato poco prima dell’esibizione al rodeo. Lo show violento mette a dura prova l’animo sensibile di Roslyn, che rimane sconvolta da quanto ha assistitito. Turbata, la donna vede Gay e gli altri compagni sotto una luce diversa, densa di cinismo e di brutalità. Purtroppo la fragilità di Roslyn subisce il colpo decisivo nella parte finale della pellicola, quando accompagna il trio nel deserto, nella zona Stagecoach (conosciuta come Misfits Field), per catturare i celebri cavalli e venderne le carni come mangime in scatola. La donna trova un volto amico solamente in Perce, che la ascolta e con cui libera alcuni animali, tra i quali una cavalla con puledro. La furia indomabile di Gay esplode nella sequenza (passata alla storia del cinema) in cui torna a domare da solo lo stallone. La figura in controluce dell’uomo, stagliata all’interno dell’immagine abbagliante, sintetizza la messa in scena della lotta uomo-natura. La splendida fotografia monocroma di Russell Metty (preannunciata nei titoli di testa) sospende lo scorrere degli eventi e astrae le azioni dei personaggi, catturati in campi lunghi (e lunghissimi), negli esterni di fordiana memoria. Il gruppo è ingabbiato, in trappola: ognuno di loro è incapace di muoversi e soprattutto orientarsi all’interno della vastità del deserto. La frustrazione di Roslyn, innescata dal non essere compresa dal trio, esplode all’improvviso, attraverso un urlo primordiale lanciato, in campo lungo, agli uomini distanti.
La simbologia del cavallo è antica e legata alla libertà. Nello specifico delle vicende filmiche, la cattura dei Mustang rappresenta la volontà di addomesticamento da parte dell’ex cowboy protagonista. Il cavallo selvaggio esprime la forza pulsionale e l’istinto che Gay proietta sull’animale per sentirsi ancora una volta vivo e riuscire a controllare le pulsioni e quei demoni interiori che lo attanagliano. La rinunncia finale, della cattura delle prede, per amore di Roslyn è un gesto che sottolinea il superamento della crisi identitaria dell’uomo e la scelta di provare a lasciarsi il passato alle spalle.
La produzione di The Misfits è stata a dir poco travagliata e soprattutto legata alle vicende biografiche degli attori. Il malumore e le difficoltà legate alle temperature (superiori ai 38°) sono stati acuiti dai consueti ritardi della Monroe, che si univa alla giornata lavorativa del gruppo non prima delle 11:30. Le riprese, inoltre, sono state interrotte per un paio di settimane: parentesi necessaria alla Monroe per disintossicarsi dall’abuso di alcool e di farmaci. Grazie all’insegnante di recitazione, Paula Strasberg, l’attrice ha potuto memorizzare le battute di notte per il suo ultimo film, prima della scomparsa (sebbene nel ’62 la Monroe abbia girato parte dell’incompleto Something’s got to give di George Cukor). In The Misfits, l’attrice riesce a infondere una profonda carica drammatica al personaggio di Roslyn, complice anche il periodo di crisi matrimoniale che stava vivendo con il commediografo Artur Miller. Ricordiamo che Miller ha scritto la sceneggiatura del film proprio per la moglie e che il divorzio della coppia avviene nel 1961, poco prima dell’uscita della pellicola. La trasposizione di Huston è finita con l’essere diventata una sorta di “testamento spirituale”, legata al destino (tragico) degli attori: Clark Gable scompare a seguito di infarto, 12 giorni dopo la fine delle riprese. L’attore, sebbene avesse già dei problemi cardiaci, ha rifiutato controfigure nelle scene più rischiose. Inoltre, i riferimenti biografici di coloro che hanno preso parte al film, sono disseminati nel corso della trama: per Montgomery Clift la pellicola rappresenta uno degli ultimi lavori della propria carriera (prima della scomparsa nel ’66) e il ruolo interpretato di Perce si fonde con la biografia dell’attore: il legame emerge durante la telefonata alla madre, nella cabina telefonica prima del rodeo. Il personaggio Perce, alludendo alle ferite riportate a seguito di un incidente, crea una connessione con l’incidente automobilistico del ’56, in cui l’attore ha rischiato di perdere la vita. La frattura della mascella e del naso riportate rimarranno tracce visibili sul volto dell’uomo (nonostante gli interventi di chirurgia estetica) e il dolore alla parte sinistra, rimasta immobile, verrà “mitigata” con alcool e pillole. Le pause sul set, condivise dalle icone del cinema hollywoodiano che popolano The Misfits, sono state immortalate nei celeberrimi scatti del gruppo di fotografi della Magnum, tra i quali Elliott Erwitt, Ernst Haans, Eve Arnold e Inge Morath (quest’ultima sposerà Miller dopo il divorzio con Marilyn).
Il titolo The Misfits significa letteralmente sbandati, disadattati (l’opera è stata tradotta in italiano con Gli spostati) ed esprime la condizione del gruppo dei protagonisti. L’illusione dei personaggi, di poter essere liberi, indomabili e senza padrone, si riflette nell’inquietudine e nell’instabilità dei legami relazionali, lavorativi e identitari. Nessuno ha una fissa dimora, solamente Guido ha una casa, sebbene sia ancora in costruzione e preferisca non abitarci. L’essere fuori posto dei personaggi, equivale a un essere fuori fuoco: il malessere del microcosmo è lo stesso del macrocosmo, ovvero di un’intera nazione fotografata in un periodo di forti cambiamenti sociali. Il ritrovare la propria identità, in un passato che non esiste più, è il dramma che accomuna tutti, in The Misfits. Ogni personaggio è legato al passato, in modo diverso, a partire da Isabelle che a ogni anniversario di divorzio riceve delle rose gialle dall’ex marito. Gay, invece, tenta di sentirsi ancora vivo cacciando i Mustang, sebbene il mito del West sia tramontato da tempo e, al pari degli altri compagni, è costretto a fare i conti con i propri fantasmi: se per l’ex-cowboy sono rappresentati dai figli (che appaiono e scompaiono tra le nebbie alcooliche), per Guido si tratta della moglie, morta per le complicazioni del parto; mentre per Perce si tratta della rielaborazione della morte del padre e di una non accettazione del patrigno-sostituto. La solitudine dei personaggi è palpabile e si misura con il tempo trascorso: connessioni alla caducità della vita vengono gettate all’improvviso, nel corso della trama, tingendo di malinconia un momento conviviale. I rapporti tra i personaggi sono indefiniti, labili come la crisi esistenziale vissuta da ognuno di loro. Roslyn è avvenente quanto ingenua e, la sua anima sensibile quanto fragile, rimane catturata all’interno delle dinamiche del gruppo maschile, non immune al fascino della donna. Da triangolo amoroso, la protagonista si ritrova presto a vivere in un quadrilatero, in cui gli altri tre vorrebbero trasformarla nella propria amante. Roslyn sceglie di intrecciare una relazione sentimentale con Gay, ma il ruolo salvifico della donna sarà esteso all’intero trio maschile, attraverso delle variazioni. Se Gay la paragona alla figlia cresciuta che non vede da tanto (e che adesso porta la sua stessa taglia); per Guido, vederla nelle stanze della propria abitazione, rappresenta un tentativo per colmare un vuoto lasciato dalla moglie; infine Perce, il più vicino a lei per fragilità (e nevrosi) ne vede un volto amico, se non addirittura materno.
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