
Elvis è il film più erotico di Baz Luhrmann
June 28, 2022 0 By Gabriele BarducciSpengete le luci, mettete a letto i bambini e accomodatevi sulla seggiola, lo spettacolo sta per cominciare.
Non ci si poteva aspettare nulla di diverso da quello che effettivamente è arrivato al cinema: Elvis di Baz Luhrmann si è rivelato un concentrato di ritmo, immagini patinate e ultrasensualità, giacché le gambe, le braccia e i fianchi del giovane Elvis Presley si muovono e danzano sul palco, mentre il calore esplode in gioia propria tra le gambe delle giovani spettatrici paganti che urlano verso il giovane, gli lanciano mutandine e reggiseno, un vero e proprio desiderio sessuale capace di far perdere ogni tipo di inibizione.
Il colonnello Tom Parker (un sempre ottimo Tom Hanks truccatissimo) divenendo l’agente di Elvis, si adopera in qualcosa di molto semplice e al tempo stesso inedito per il periodo e contesto storico: la chiara e totale mercificazione del sesso o del suo stesso desiderio sessuale.
Elvis è sì un giovane artista brillante, ma il suo essere irriverente come l’andare contro un sistema di pudore pubblico, lo rende agli occhi di tutti (e tutte) il cattivo ragazzo da carcerare o da amare, senza alcuna mezza misura. Luhrmann idealizza così il suo Elvis cinematografico, prima ragazzo ingenuo che sguazza nel suo essere bello e impossibile, pur maturando un’idea di musica blues e jazz ben impostata, per poi venire affogato proprio dal suo stesso successo e dagli accordi commerciali. Egli non vuole essere un contratto, lui vuole fare musica, di quella che ti fa battere il cuore, sudare le mani e sputare e inveire, con le vene del collo gonfie, contro il microfono.
Elvis è un film trascinante, di pancia, viscerale, semplice nella scritta, ma assai profondo nell’inquadrare un periodo storico Americano fatto di violenza, di valori che venivano continuamente annientati da attentati a personalità politiche o pubbliche che cercano di aprire e migliorare il Paese. Elvis vive questa parabola sociopolitica come una ferita aperta: è il golden boy americano e come tale ha un’emotività sopra la media. Piange e si dispera per l’assassinio di Martin Luther King o Bobby Kennedy, perché l’America ha bisogno di andare avanti, di sognare, di farsi forza.
Con la storia narrata dalle memorie di Tom Parker, il regista non smette di puntare il dito contro chi è stato un ottimo agente in termini economici, ma un mostro nei panni umani, di un uomo che forse ha ucciso lo stesso Elvis, stremandolo fino alla fine, mentre lui sentenzia da fuori il film che è stato il pubblico ad ucciderlo.
Questo perché negli ultimi anni, Elvis torna sul palco per il pubblico, perché come un sacco di patata vuoto, lo stesso si riempiva e beava del pubblico, degli applausi, della musica e dei suoi spettacoli sempre illuminati, sgargianti, ricolmi di vestiti brillanti. Proprio lui, fan del fumetto che narra le avventure di Shazam, ne ricopia la mantellina, l’ideologia di essere stato toccato da qualcosa di divino, una saetta nel cuore e nella voce, ma concretamente un bambino, un adolescente che si è tramutato di colpo in un Dio e che non ha avuto il giusto supporto per tenere in piedi tale potere.
`Cause tramps like us, baby we were born to run"
- Bruce Springsteen
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"We gotta get out while we're young `Cause tramps like us, baby we were born to run" - Bruce Springsteen