Jack: invecchiando a 4x con Francis Ford Coppola

Jack: invecchiando a 4x con Francis Ford Coppola

July 19, 2022 0 By Simone Tarditi

Jack, commedia di metà Novanta dall’estetica nickelodeonesca, nel corpus di Francis Ford Coppola ha le sembianze del film invisibile, oscurato com’è dai pilastri e dai titoli culto degli anni Settanta e Ottanta. È la vicenda di un bambino che, affetto da una forma di simil-progeria, invecchia quattro volte più rapidamente dei suoi coetanei: intorno ai dieci ha un fisico da quarantenne e per quando termina la scuola superiore è pronto per l’ospizio con i suoi apparenti quasi ottant’anni. L’organismo corre verso il decadimento, ma né lo spirito né la mente seguono questo corso. Metafora del tempo (e della sua percezione) come flusso indomabile, Jack è una meditazione sulla limitatezza dell’essere umano in quanto mortale creatura senziente, che soffre e gioisce dei doni della vita in base a come a essa si rapporta. Di molti limiti si fa carico il film stesso, ragione per cui se non è ancora assunto tra le pietre miliari del regista non solo difficilmente lo sarà mai, ma c’è anche un motivo valido perché ciò non sia già avvenuto.

Mai dire mai. Di fondo Jack è il film di un grande regista (quindi interessante anche se appartenente alla categoria “minori”) e si presterebbe a facile opera di recupero per il suo messaggio sull’importanza dell’inclusività come antidoto ai pregiudizi di qualsiasi età. Muovendosi lungo la parallasse temporale – perno, si è detto, della narrazione – sono interessanti i vari punti di vista dei personaggi attorno al protagonista, volto e stazza di Robin Williams. Man mano che egli si costruisce una reputazione, ossia via via che il suo sviluppo esteriore smette di risultare fonte di scherno e non costituisce più un handicap, chi lo circonda regredisce simultaneamente a una condizione d’immaturità. Non tanto i suoi coetanei, bambini in tutto, quanto piuttosto gli adulti, nello specifico sua madre e il suo maestro privato. Quando Jack inizia a uscire di casa e ad avere degli amici, la donna (interpretata da Diane Lane) si trova nella condizione di perdere lei il compagno di giochi: la vediamo indossare ridicoli costumi da carnevale, armeggiare con pistole di plastica, poltrire dentro scatole, rifugiarsi in cameretta. Nel momento di smettere di calzare quei panni e di svolgere il solo ruolo di genitrice è in crisi, anche perché ogni suo comportamento è il voler un po’ chiudere gli occhi di fronte all’inevitabile constatazione circa la sindrome che affligge il primogenito. Per contro, il marito reagisce al dramma in fieri con un approccio tipicamente animale, volto alla preservazione della specie: perché non provare ad avere un altro figlio così da non rimanere senza quando Jack, presto, non ci sarà più? L’istitutore privato (l’attore Bill Cosby), che in teoria dovrebbe rappresentare l’immagine per eccellenza del rigore, dopo l’emancipazione di Jack e la “fuoriuscita” di quest’ultimo nel mondo fuori fa piazza pulita dell’autorevolezza dimostrata fino a quel momento bambineggiando anche lui. Il film insegna dunque che non c’è ruolo ricoperto nella vita che debba durare per sempre e che la trasformazione del singolo si può riflettere anche sugli altri. Poco importa che, salvo un messaggio finale sull’importanza del non sprecare la propria esistenza e del far tesoro di ogni singolo giorno, Jack termini la sua narrazione dando l’impressione di essere girato un po’ a vuoto su se stesso. Della vita si può dire la medesima cosa, no?

Simone Tarditi