
Hustle (e motivazioni sufficienti per sbattersi ancora superati i cinquanta)
July 25, 2022 0 By Simone TarditiHustle avrebbe potuto essere il Moneyball del basket se solo fosse stato scritto da una penna migliore. Questa è una considerazione globalmente accettabile che però non deve privare il film diretto da Jeremiah Zagar dei meriti che ha. I cinquantenni non hanno sogni, ma incubi e problemi di eczema. Su per giù è questo il mood che accompagna Stanley Sugerman (Adam Sandler) nelle giornate trascorse lontano dalla famiglia alla ricerca di giocatori allo stato grezzo da portare sui campi NBA. Procacciatore di talenti per i Philadelphia 76ers, il protagonista viene promosso ad assistant coach poche ore prima che il presidente della squadra (il novantenne Robert Duvall) tiri le cuoia e la gestione generale passi a un figlio ostile. Questo repentino cambio di ruoli nella dirigenza obbligherà Sugerman a portare a termine un incarico prima di salire di un agognato gradino nel percorso della sua carriera.
Una classica storia dove vince l’american dream, sì, eppure è nell’ingombrante quantitativo di merda che Stanley deve mangiare che Hustle si compie. Il raggiungimento di una posizione che gli spetterebbe di diritto diventa una meta sempre più lontana, un miraggio che si concretizza solo con un colpo di coda finale quando le speranze si stanno affievolendo. Nel dare forma e definizione a Bo Cruz, il campione schifato da tutti che compirà il secondo miracolo nelle vite di entrambi, Stanley versa dentro di lui le ambizioni di un tempo sul diventare un grande giocatore, cosa che non è avvenuta non per un mancato allineamento astrale, bensì per una serie di errori commessi che hanno pregiudicato il futuro suo e di altri. Al di là dell’avanzamento carrieristico, il protagonista sembra voler fare i conti col passato, rimarginare una ferita aperta e spezzare una maledizione che ha la sensazione lo accompagni da sempre. Ed è allenando Bo Cruz che riesce a trascendere la frustrazione residua per non avercela fatta lui stesso, scrollandosela di dosso grazie anche all’età (e alla maturità) raggiunta. Superati i cinquanta infatti o ci si riappacifica con il proprio vissuto o si è destinati a continuare a perdere.
La logica di Hustle è quella di raccontare una doppia storia di redenzione anche se gli esiti raggiunti dai personaggi non corrispondono a quello che avevano in mente all’inizio della narrazione. Quando Stanley finisce con in lavorare per una squadra avversaria è a causa di una costrizione, non per aver “tradito la maglia”, ma anche se egli avesse ricalibrato i suoi ideali non sarebbe caduto in contraddizione perché l’esistenza spinge a fare compromessi. Cos’è di base il sogno americano se non il liberarsi di una condizione opprimente? Se i soldi sono il faro che guida un determinato agire, essi non finiscono con il rappresentare mai il fine ultimo. Gli affetti e la soddisfazione valgono immensamente di più.
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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