Improvvisamente l’estate scorsa: un ultimo canto che prende corpo

Improvvisamente l’estate scorsa: un ultimo canto che prende corpo

August 29, 2022 0 By Mariangela Martelli

Improvvisamente l’estate scorsa (Suddenly, Last Summer; 1959) di Joseph L. Mankiewicz è l’adattamento su grande schermo dell’opera teatrale di Tennessee Williams. La sceneggiatura, adattata a quattro mani dal regista stesso e da Gore Vidal, edulcora ogni riferimento alla tematica omosessuale, come da Codice Hays di quegli anni (sorte già capitata a La gatta sul tetto che scotta, altra trasposizione di Williams). La vicenda, ambientata a New Orleans, nel 1937, si articola attraverso un melodramma morboso e a tinte fosche. L’incipit della pellicola si apre sull’immagine delle mura della clinica psichiatrica Lions View State Asylum, dove il Dottor Cukrovicz (Montgomery Clift) esegue operazioni sperimentali di lobotomia, nonostante una tecnologia obsoleta e un personale non qualificato. Le condizioni in cui è costretto a lavorare il medico, possono fare un salto di qualità grazie alla proposta della ricca vedova, Violet Venable (Katharine Hepburn), intenzionata a finanziare la fondazione con un’ingente somma. Il vero scopo della donna è però quello di mettere a tacere la nipote Catherine (Elizabeth Taylor), unica testimone della morte del cugino Sebastian, avvenuta in circostanze oscure, durante un viaggio in Europa l’estate precedente. La giovane è stata internata, per volere della zia, nell’istituto religioso St. Mary, con una diagnosi di dementia precox. Violet è disposta a tutto, pur di mantenere intatta la figura del figlio, quindi far lobotomizzare la nipote è per lei l’unica soluzione per mettere a tacere una scomoda verità, circa l’omosessualità di Sebastian.

Il rapporto morboso madre-figlio prende forma all’interno del primo incontro dell’anziana con il Dottore, da lei invitato nella villa dei Venable per metterlo al corrente della situazione e soprattutto cingerlo con un doppio vincolo: la donna è disposta a finanziare la fondazione, a patto che lui operi la nipote. Violet è rinchiusa in una gabbia dorata, in un universo che vuole mantenere immutabile e in cui predomina il culto del figlio, giovane poeta idealizzato. Lei e Sebastian formavano una coppia mondana, ammirata dall’alta società e in cui, a detta di lei, venivano riconosciute le doti poetiche del figlio. Sebastian è stato un esteta che ha vissuto la propria vita come fosse un’opera d’arte (secondo l’assunto dannunziano) fino alla sua ultima estate, in cui qualcosa è cambiato, a partire dalla routine: dalla mancata composizione del consueto poema, alla sostituzione dell’anziana accompagnatrice, la madre, con una più giovane, la cugina. Se da una parte, il taccuino di Sebastian rimane vuoto, senza che l’annuale “canto d’estate” venga messo in forma, dall’altra, a prendere corpo è l’ultimo canto del cigno del protagonista stesso, che lo trascinerà verso un tragico epilogo. Non vediamo né il volto di Sebastian, né sentiamo la sua voce, ma riusciamo a immaginarlo attraverso i discorsi della madre e della cugina. Proprio verso Catherine, il cugino esercita un ruolo di manipolazione, durante la vacanza, esibendo il corpo di lei come un’esca, al fine di attrarre i ragazzi. La cugina comprende presto di essere un oggetto nelle mani di Sebastian, da lui utilizzato per realizzare fantasie erotiche e procacciarsi sesso a pagamento.

Violet vuole continuare a vivere nella perfezione ed è disposta a mettere a tacere ogni stonatura, a qualsiasi costo. Ricordiamo che la donna entra in scena adagiata su un “trono bizantino”: un ascensore che le permette di scendere per presentarsi al Dottore, in visita. Il dialogo tra i due personaggi avviene durante la passeggiata, all’interno del giardino edenico della villa, una sorta di luogo primordiale, popolato da felci e ninfee giganti. Violet interrompe il discorso per sfamare una pianta carnivora, protagonista indiscussa all’interno di questa ambientazione barocca da “alba della creazione”, come soprannominata dal figlio. La pianta, inoltre, dà forma visiva alla dinamica tra prede e predatori, che ritornerà all’interno dei rapporti tra i personaggi, a partire dal ricordo di un precedente viaggio in compagnia di Sebastian alle isole Galapagos, di darwiniana memoria, in cui madre e figlio hanno assistito alla lotta impari tra falchi e tartarughe appena nate. Il luogo ostile, in cui la sopravvivenza cede il passo alla sconfitta, rievocato all’interno dei racconti di Herman Melville, Las Encantadas è lo stesso che ritroviamo rappresentato all’interno del giardino di casa Venable. La natura crudele, mitica e atavica è la sottotrama che scorre sotto la superficie dell’intera diegesi e che sfocerà all’interno della dinamica denaro-corpo, durante il viaggio in Europa dei cugini.

In Improvvisamente l’estate scorsa, assistiamo a una certa ritualità che caratterizza la vita quotidiana dei protagonisti: dalla medicina delle 5 del pomeriggio che Violet accompagna a un Daiquiri ghiacciato, all’esistenza stessa di Sebastian, fino ad arrivare al titolo dell’opera che Catherine rievoca più e più volte, come se la ripetizione del mantra “Improvvisamente l’estate scorsa…” potesse riportarle alla memoria l’evento tragico a cui ha assistito: la ragazza ne porta i segni incisi sulla pelle, che la vincolano a visioni e ossessioni. Catherine, ricoverata nel frattempo presso l’ospedale del Dottore, riceve in visita la madre e il fratello, anche loro legati a doppio filo a Violet, tra il lascito testamentario e il consenso alla lobotomia da far firmare alla giovane. Catherine, non appena comprende il reale fine del ricovero, fugge all’interno delle stanze e corridoi, arrestandosi sul ballatoio, affacciato su un salone. È qui che gli internati la vedono e le afferrano le caviglie, rischiando di farla precipitare, prima di essere tratta in salvo da un inserviente.

Catherine vede nel Dottore un volto amico e, sentendosi trattare da lui come una persona sana di mente, inizia ad aprirsi. Il primo ricordo prende forma attraverso il racconto del ballo in maschera a cui la giovane ha partecipato durante il carnevale: momento dell’anno in cui regna il rovesciamento del quotidiano e in cui Catherine “ha perso l’onore”, dopo essere stata riaccompagnata a casa in macchina da un ragazzo. La vicenda rimane piuttosto ambigua e frammentaria: per arrivare fino all’estate precedente dovremmo attendere un secondo momento, in cui il Dottore somministra alla giovane del Pentothal, o siero della verità. È solamente al finale che i pezzi vengono ri-assemblati, all’interno del lungo flashback onirico di Catherine, durante l’unico incontro tra i tre protagonisti. Il volto della giovane rimane in sovrimpressione sullo schermo, catturato all’interno dell’immagine del proprio racconto: la con-fusione del passato (l’allora e l’altrove) e del presente (qui e ora) è resa a livello visivo attraverso l’utilizzo della doppia esposizione. Seguiamo lei e il cugino sulla spiaggia di Cabeza de Lobo, in Galizia: la sequenza è abbagliante, piena di luce e di bianco. Quest’ultimo rappresenta il non-colore del costume, fatto indossare da Sebastian alla cugina: il tessuto, a contatto con l’acqua, diventando trasparente è in grado di mostrare il corpo di lei, per adescare i ragazzi. Bianco è anche il vestito di Sebastian, per il pranzo al ristorante, in cui viene colto dal panico non appena sente preannunciarsi l’arrivo di bambini e adolescenti, tramite il rumore di oggetti metallici, da loro sbattuti. La narrazione prosegue, mostrandoci il protagonista che, rimasto senza respiro, fugge nella calura estiva, inseguito dal gruppo affamato, lungo le vie medievali del paese, fino a raggiungere la collina dove, tra i ruderi di un tempio pagano, si consuma il sacrificio. Lo stormo, accecato dalla fame atavica, si getta sul corpo di Sebastian, al grido di “Pan, Pan, Pan”: Catherine li raggiunge e assiste impotente alla scena di carni dilaniate e divorate del giovane, il cui corpo nudo rimane abbandonato sulla roccia. L’urlo della giovane la riporta in sé, al tempo presente, dando forma all’orrore del mistero appena svelato. Il Dottore le crede e decide di sospendere l’imminente operazione: il processo di guarigione di Catherine è appena iniziato, starà bene. Violet, invece, non accetta la verità perché significherebbe porre fine al proprio mondo e recidere con il passato: risale sull’ascensore e, chiudendosi tra le mura dorate che la circondano, ripiomba in un sonno della ragione.

Mariangela Martelli