
Vampirizzando Irma Vep
September 13, 2022 0 By Simone TarditiPochi minuti della sola prima puntata di Irma Vep sono sufficienti a dare l’idea che Olivier Assayas si stia sbrodolando addosso dialoghi scritti di getto, estrapolati da qualche conversazione avvenuta per davvero, udita per sbaglio o ascoltata intenzionalmente. Insomma, quel genere di scrittura parassitaria a cui più o meno ogni autore finisce col ricorrere per dare un tono realistico a certi passaggi della propria opera. Nulla di male, anzi, lo fanno gli esordienti come i mostri sacri della letteratura, o in questo caso del cinema. Perché, ormai, mostro sacro Assayas un po’ lo è, specie se si considera la sola Europa. Ogni suo film è motivo di attesa e, salvo l’inqualificabile Wasp Network, ogni suo nuovo titolo da un decennio a questa parte ha catalizzato attenzioni ed entusiasmi.
Problemi di cuore, problemi sul lavoro, gossip succosi, il post-#MeToo, la pansessualità, le invidie e le vendette, i tradimenti, il caos lasciato in eredità dalla pandemia, il dominio dei click e degli streaming. Parole al vento. Irma Vep, la serie che vampirizza il serial di metà Anni Dieci e recupera l’omonimo film del 1996 che ha dato lustro ad Assayas, è in buona parte un lavoro di cinefilia compartimentalizzata. Si cita, si rielabora, si riadatta il già esistente: la serie entra nel serial legandosi al film e dando occasionalmente vita a nuove correlazioni cinematografiche, come quando l’attore X o l’attrice Y denigrano un dato blockbuster in tuta spandex in grado però di farli guadagnare bene oppure quando persone realmente esistite vengono riportate in vita sulla base dei memoir che hanno lasciato (la spericolata Musidora, il tiranno Louis Feuillade, …). Sembrerebbe il “Paradiso dei cinefili”, citando l’omonima sezione di un eccellente festival bolognese dedicato ai vecchi film (guarda caso omaggiato da Assayas con una bag), ma la confusione regna sovrana in quella che è per il maggior numero di puntate un’accozzaglia di momenti dove, quando non manca proprio il senso logico, i buchi temporali e la carenza di spiegazioni circa alcuni nessi finiscono tediosamente col farsi stile. E la repulsione che provoca ogni singolo personaggio – compreso quello di Alicia Vikander, eroina “metafisica” tutt’altro senza macchia – può risultare intollerabile: fa già abbastanza schifo così il mondo, che bisogno abbiamo di simpatizzare per chi eviteremmo volentieri d’incontrare nella vita reale? Nessuno. E, no, non c’è bisogno di una seconda stagione.
Ma in questo progetto c’è anche il mettersi a nudo di un individuo che sente di essere andato avanti senza aver risolto alcuni snodi dell’esistenza: il suo regista. Quell’uomo dobbiamo credere sia Olivier Assayas dal momento che questo ritorno a Irma Vep pare nel segno dell’autobiografismo. È lui il professionista in crisi? È lui pressato e tenuto sotto scacco dai finanziatori? È lui spedito in esilio dalla famiglia per via del carattere intrattabile durante le riprese? È lui quello a cui manco la psicoterapeuta risponde più al telefono? È lui il complessato bambinone con un giocattolo troppo grande tra le mani? Le nevrosi e l’incapacità di stare al mondo rivelano la sua fragilità, il segno del suo essere umano. L’unico, forse, in mezzo a tanto vuoto.
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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