Gli ultimi fuochi: o del fare solamente del cinema

Gli ultimi fuochi: o del fare solamente del cinema

October 10, 2022 0 By Mariangela Martelli

Gli ultimi fuochi (The Last Tycoon, 1976) di Elia Kazan è la trasposizione su grande schermo del romanzo incompiuto di F. S. Fitzgerald, Gli ultimi fuochi (The Last Tycoon, 1941). Il titolo originale fa riferimento al produttore cinematografico della MGM, Irving Thalberg, scomparso a 37 anni e conosciuto per i conflitti con Louis B. Mayer. Questa coppia di magnati della Hollywood dei tempi d’oro (anni ’20-’30) è interpretata rispettivamente dal protagonista Monroe Stahr (Robert De Niro) e dal personaggio di Pat Brady (Robert Mitchum). Il 35enne Stahr è il più giovane negli Studios e uno stacanovista dal potere assoluto, conferitogli dalla società di produzione. Il controllo che esercita sui propri sottoposti (registi, attori, sceneggiatori) e le scelte assunte, rispondono alla logica “a catena di montaggio” di questa fabbrica dei sogni, in cui venivano realizzavate fino a 40 produzioni annuali. Stahr è un solitario che, di fatto, vive per lavorare: il cinema rappresenta tutto il suo universo. Rimasto vedovo della diva Minna Davis (scomparsa 5 anni prima), della quale nutre un culto, incontra una giovane donna che sembra esserne la sosia, durante un terremoto in un teatro di posa. La scossa sismica, fa affiorare la dinamica di Stahr che, nel corso della narrazione si manifesta nella ricerca di un equilibrio e della sua messa in discussione. Il terremoto scuote l’uomo in profondità, dopo l’apparizione di Kathleen Moore (Ingrid Boulting), la cui somiglianza con la donna amata (e scomparsa) spinge Stahr a cercarla e a stabilire un contatto con lei. Il protagonista inizia a vacillare non appena comprende di non poter avere Kathleen, la quale fin da subito, gli esprime di non voler lasciare l’uomo che sta per sposare. Il controllo assoluto che Stahr aveva fino a quel momento, nella vita e nel cinema (per lui inscindibili), crolla e l’ossessione per la giovane amante, gli fa dubitare tutto ciò che ha costruito, a partire dal proprio ruolo e la carriera.

<< Mentre l’immagine compiuta della sera precedente tornava a lui – la pelle stessa della donna, con quella singolare luminosità, come se fosse stata toccata da fosforo – si domandò se quello non potesse essere un espediente per arrivare fino a lui da chissà dove. Non Minna, eppur Minna. Le tende si gonfiarono a un tratto verso l’interno della stanza, i fogli bisbigliarono sulla scrivania, e il cuore di lui si ritrasse un poco dalla realtà intensa del giorno, fuori dalla finestra. Se poteva smarrirsi così in quel momento, che cosa sarebbe accaduto quando l’avesse rivista… >> Gli ultimi fuochi, F. S. Fitzgerald, Oscar Mondadori  2013, pp. 80-81

Gli ultimi fuochi fotografano in modo impeccabile l’atmosfera della Hollywood al suo massimo splendore, aggirandosi nel dietro le quinte degli Studios: dalle cene alle riunioni di lavoro, passando per le notti insonni. La scena del nichelino è un omaggio al cinema degli albori, in cui il pubblico pagava 5 centesimi di dollaro per le proiezioni nei Nickelodeon, ma è anche un rendere visibile il legame tra cinema e immaginazione. Stahr, sapendo di fare bene il proprio lavoro, mostra a un collega come spendere la monetina: seguendo il flusso di una narrazione che, però, viene lasciata in sospeso. Alla domanda di cosa succede dopo, Stahr risponde che non lo sa, perché stava solo facendo del cinema. Qui la moneta non ha un valore di tipo economico ma è un innesco che cattura l’attenzione del pubblico, per tutta la durata della storia. L’incanto vissuto dallo spettatore, astratto dal mondo reale, è racchiuso nella sequenza delle immagini in movimento, una magia che è propria dell’arte cinematografica e al quale Stahr continua ad aggrapparsi, pur di rivivere i propri ricordi.

Fin dall’incipit è esibito il doppio registro realtà-finzione, tutto giocato sull’alternanza delle scene in bianco e nero, inerenti alla pellicola visionata da Stahr, con quelle a colori, che caratterizzano la narrazione filmica. E’ al momento del “cut” che il protagonista “ritorna alla vita”, rompendo la sospensione della realtà. Ricordiamo che il film nel film vede l’attrice Jeanne Moreau nel ruolo della diva capricciosa e che il dramma da lei vissuto con l’amato, riflette quello degli amanti Stahr-Kathleen. La storia di questi ultimi è recisa quando Stahr, durante la visione del girato, riceve il telegramma di lei, in cui annuncia di essersi sposata. L’addio degli amanti del film del film va di pari passo con la realtà dei protagonisti: mentre la Moreau canta, (come già in Jules et Jim e poi in Querelle de Brest) la finzione filmica è la vita e viceversa: al cinema il compito di sublimizzare gli eventi reali e di renderli senza tempo. La volontà di Stahr, di rivivere il passato, lasciando immutabile ogni cosa, aveva già preso forma nei primi minuti del film, quando ci viene mostrato quel luogo rarefatto, durante una visita guidata, della stanza bianca, in cui la moglie-diva è morta. La somiglianza di Kathleen a Minna dà al protagonista, l’illusione di poter vivere nei ricordi; inoltre, Stahr è deluso dalla vita e vede nella giovane amante una figura salvifica. Nonostante la situazione sentimentale di quest’ultima, i due iniziano una relazione, destinata a finire presto.  Il momento più alto della coppia è sicuramente quello racchiuso nella sequenza alla casa di Stahr, sulla spiaggia di Malibù: si tratta di una costruzione non finita, una sorta di abbozzo in cui i due si aggirano, riempiendo con l’immaginazione le stanze vuote, in cui trascorrono la notte. Gli incontri tra Stahr e Kathleen continuano, per loro non è semplice dirsi addio e, soprattutto, accordarsi al ritmo dell’altro, come vediamo dalle parole di lei, sbiadite in una lettera arrivata al destinatario fuori tempo, alla volontà della giovane di avere una vita tranquilla. Stahr è combattuto, sente di non avere il tempo dalla propria parte:

<< Era una profonda, disperata fame di tempo, un orologio che gli ticchettava nel cuore e lo incitava, contro l’intera logica della sua esistenza, a seguirla in casa, subito, e a dirle: “E’ per sempre”.>> Ivi, p. 156.

L’opera Gli ultimi fuochi, intesa sia come libro, sia come film, rappresenta l’ultima fatica per entrambi gli autori. Fitzgerald omaggia l’universo cinematografico, condiviso con Kazan. Ricordiamo che il regista, per continuare a lavorare in epoca maccartista, ha collaborato con il Comitato: denunciando i colleghi filo-sovietici e compromettendone la carriera. Nonostante il successivo pentimento di Kazan, l’aver partecipato alla caccia alle streghe “rosse”, lo ha marchiato a vita come delatore. Per quanto riguarda il romanzo, pubblicato postumo e incompiuto da Edmund Wilson, critico e amico dello scrittore, il narratore interno è affidato al personaggio di Cecilia Brady. La giovane, a differenza del film, incontra il protagonista su un aereo per Hollywood, descrivendo come l’uomo incarni il mito americano del self-made man: l’ascesa dal nulla di Stahr lo rende simile al Grande Gatsby. Cecilia, sebbene sia cresciuta nel mondo del cinema, possiede la capacità di distanziarsene in modo oggettivo e ad avere un punto di visto esterno: << Si può accettare Hollywood qual è, come facevo io, o si può ignorarla con il disprezzo riservato a ciò che non riusciamo a capire. Si può anche capirla, ma solo confusamente, e a tratti>>. Ivi, p. 4. Come nel film, il personaggio di Cecilia (Theresa Russell) si strugge per l’amore non corrisposto verso il protagonista, che conosce fin da bambina, essendo la figlia di un membro del consiglio di produzione, Pat Brady. La narrazione segue le dinamiche tracciate dai personaggi principali che si ritrovano in un triangolo amoroso, composto da Stahr, Kathleen e Cecilia.

Come anticipato, la casa sulla spiaggia, priva di porte e finestre, plasma a livello visivo la struttura del romanzo stesso. Ricordiamo che la prima stesura del libro si chiude dopo diversi rifacimenti e che le note a margine rivelano uno stato di work in progress, come l’architettura della casa in costruzione. Uno spazio senza tetto, nudo, destinato a non offrire una vera protezione a colui che lo dovrebbe abitare. Stahr è stato abbandonato e trova conforto alla propria solitudine e delusione nell’alcool, fino a toccare il fondo durante una serata con Cecilia e il sindacalista comunista, Brimmer (Jack Nicholson), finita in insulti, minacce e pugni. Nonostante tutto, Cecilia continua a manifestare il proprio amore incondizionato per Stahr, prendendosene cura. La delusione amorosa di Stahr diventa un tutt’uno con il cinema: rinuncia al film che stava producendo perché sente che non ne vale più la pena. L’atteggiamento dell’uomo finisce per compromettere la propria posizione: dirigenti, membri del consiglio e del sindacato, che stavano aspettando il momento giusto per togliergli il potere, colgono la situazione per allontanare Stahr dagli Studios e costringerlo a una pausa forzata.

Il crollo definitivo di Stahr, preannunciato dal terremoto iniziale, non tarda ad arrivare: ha trascurato il cinema, che è la sua vita. La nostalgia per un mondo perduto è palpabile nella sequenza in cui Stahr, da solo, prende commiato dagli Studios, attraversandone corridoi e stanze, prima di diventare una figura astratta, inghiottita nel buio di un teatro di posa deserto. Prima, fermatosi in studio, risente la voce di Kathleen e le onde del mare: ripete una seconda volta la scena del nickelino e, con lo sguardo in camera, rievoca l’immagine della donna perduta. Grazie al montaggio alternato, vediamo come la vita di lei continui, accanto all’uomo che ha sposato. Poi l’immagine svanisce e diventa nulla, segnando il tentativo ultimo di Stahr di aggrapparsi, ancora una volta, a ciò che è stato. Nel crepuscolo del protagonista ma anche nella volontà di non rassegnarsi, consegnata alle ultime parole rivolte al cinema, alla moglie e/o alla vita stessa: << Non voglio rinunciare a te >> è inevitabile scorgere un parallelo con Fitzgerald. Anche lo scrittore, scomparso per attacco cardiaco il 21 Dicembre 1940, ha vissuto un crollo vero e proprio, messo nero su bianco nella serie di articoli Crack-up del ’45, in cui tira le somme dell’ultimo periodo contrassegnato dall’insuccesso del romanzo Tenera è la notte, la crisi economica e matrimoniale con Zelda e le proprie condizioni di salute. Fitzgerald ha anche lavorato nel mondo del cinema, sotto contratto di sei mesi con la MGM, dietro la promessa di smettere di bere. Diventato collaboratore di sceneggiature, lo scrittore ha intravisto la possibilità di salvarsi e di estinguere i numerosi debiti ma le scelte dei produttori di cambiare le sceneggiature o di rifarle senza avvisarlo, gettano Fitzgerald nella frustrazione di chi, pur lavorando sodo e dando tutto se stesso, non riesce ad ottenere il minimo riconoscimento. Da questa esperienza vissuta in prima persona, è inevitabile la scelta dello scrittore di denunciare in modo spietato il sistema hollywoodiano, all’interno del suo ultimo romanzo. Nonostante la disillusione e il tono distaccato, Fitzgerald descrive in modo realistico la prassi produttiva finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo filmico, senza tener conto di coloro che lavorano dietro le quinte: per lui, soggettisti e sceneggiatori << Sono i braccianti di questa industria […] Coltivano il grano, ma non prendono parte al banchetto >> Ivi, p. 161. Ricordiamo, infine, che la scrittura del romanzo avviene in un momento di relativa quiete per lo scrittore, grazie anche alla relazione con la giornalista Sheila Graham, la quale ha ispirato il personaggio di Kathleen e la descrizione degli incontri con il protagonista, mentre per il ruolo della moglie-diva-defunta, bisogna ricollegarsi a Zelda. Il romanzo, chiudendosi nella frase in maiuscolo IL PERSONAGGIO E’ AZIONE, racchiude il dramma del protagonista ma anche la sua essenza. I gesti, le relazioni e il lavoro che caratterizzano Stahr sono azione, il cui significato è leggibile nel termine originario di dramma-azione, inteso come rappresentazione teatrale, tipica dell’antica Grecia.

Mariangela Martelli