
Bastardi senza gloria: appunti sparsi di cinefilia dinamitarda
November 21, 2022 0 By Simone TarditiHa un bel dire Quentin Tarantino quando incorona C’era una volta a Hollywood quale suo miglior film. Non perché non sia di buona qualità – anzi, con ogni probabilità si tratta del miglior lavoro da lui realizzato nell’ultima decade – bensì perché un tale giudizio, legittimissimo essendone egli il creatore, va a cozzare con la stragrande maggioranza delle opinioni dei fan sparsi per il globo. Se si facesse un sondaggio, sarebbe la fase degli anni Novanta a risultare la vincente nei cuori? Il dittico di Kill Bill? I due western? Difficile a dirsi. Di certo c’è un fatto, che la trama di C’era una volta a Hollywood, così orientata a riscrivere il corso degli eventi della storia, è debitrice nei confronti di Bastardi senza gloria tanto quanto entrambe le pellicole sono un tripudio di cinefilia.
In Bastardi senza gloria i riferimenti alla settimana arte sono plateali, quasi mai gratuiti. Si pensi al tenente Aldo Raine che confessa quanto osservare Donnie “l’Orso Ebreo” Donowitz fracassare il cranio di una SS sia ormai la cosa più vicina all’andare a vedere un film, a Joseph Goebbels che apprezza il cinema di Shosanna Dreyfus (pardon, Emmanuelle Mimieux) tanto da paragonarlo a una chiesa per la sacralità che vi si respira, all’ufficiale Archie Hicox che prima della guerra lavorava come critico per una rivista ed era autore di saggi, al cecchino Frederick Zoller soprannominato “Il Tedesco Sergente York”. Sono alcuni esempi, sufficienti tuttavia per determinare quanto Quentin Tarantino giochi a carte scoperte: il cinema pervade ogni aspetto della vita dei personaggi. Vi pensano, vi si rifugiano, vi si riferiscono, ne parlano, vi si identificano. È parte di loro. Importanti sono anche le connessioni stabilite visivamente, come nel caso della locandina di Les Vampires nell’ufficio di Shosanna (è la scena dell’interrogatorio fatale per Bridget Von Hammersmark, la vedette tedesca diventata spia al soldo dei britannici per l’Operazione Kino): il disegno di Musidora la raffigura incappucciata di nero come da lì a breve sarà anche Aldo Raine. Sfacciata (e doppia) è la cinefilia del regista quando, per sintetizzare l’infiammabilità del nitrato, utilizza una clip di Sabotaggio (1936) di Alfred Hitchcock all’interno di un film che vanta la presenza di Rod Taylor (interprete di Gli uccelli) nei panni di Winston Churchill. O ancora, in disordine: la carta col nome di Pola Negri, Hermann Göring panzone al punto da sembrare “Fatty” Arbuckle, il viscido Emil Jannings, la retrospettiva saltata su Max Linder, il maxi-manifesto di Un chapeau de paille d’Italie dietro lo schermo di Le Gamaar, Il corvo di H. G. Clouzot ivi in programmazione e ancora e ancora.
Anche il fenomeno del divismo svolge una sua funzione. È il caso di Shosanna che, in quanto francese e perciò rispettosa del mestiere dei registi, è disposta ad affiggere le lettere che compongono il nome di G. W. Pabst pur essendo costui un professionista impiegato dal Reich, cioè un nemico. Glielo fa notare Zoller, eroe di guerra verso cui la protagonista svilupperà uno strano atteggiamento, un misto di repulsione e attrazione. Come se, essendo lui una celebrità, meritasse comunque un principio di fascinazione. D’altronde, apprezzare Pabst non potrebbe significare aver incamerato in sé un pulviscolo del germe del Nazismo pur desiderando ardentemente annientarlo? È un po’ come quando Donowitz e il fido Ulmer (altro rif.) celano l’eccitamento di fronte alla visione dei gerarchi hitleriani in carne e ossa quasi fossero delle star.
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