Il sol dell’avvenire e nessuna autocelebrazione

Il sol dell’avvenire e nessuna autocelebrazione

April 28, 2023 0 By Simone Tarditi

Accatastati gli uni sopra gli altri, i riferimenti multiculturali contenuti all’interno di Il sol dell’avvenire riflettono la confusione di un’epoca che il film intende descrivere. Come lo si vuole catalogare? Un’indagine sul presente o sul passato? Un’operazione di metacinema o di cinefilia espansa? Un’analisi sulla società o sull’interiorità? Una ricognizione sulla metamorfosi delle ideologie o un excursus sui cambiamenti individuali? Nulla e ogni cosa di tutto questo, probabilmente, ma in special modo Il sol dell’avvenire si configura come terapia senza foglietto illustrativo, medicina priva di bugiardino per lo psicodramma del protagonista.

Nanni Moretti nei panni di Nanni Moretti, creatore di una versione di sé che lo spettatore sa riconoscere come verisimile rispetto alla controparte reale, assembla un film dalla nervatura solida che ricorda la tempra di un tempo e la vocazione a far sorridere più che a deprimere. Andando a ritroso nella carriera dell’autore, era dai tempi di Aprile e Caro diario che la leggerezza accompagnata dalla riflessione sulla condizione umana aveva lasciato lo spazio a storie grevi e personaggi condannati al destino (si pensi ad Habemus Papam, pellicola premonitrice del senso d’inadeguatezza con cui il genere umano del XXI secolo sta faticosamente facendo i conti ogni singolo giorno). Il sol dell’avvenire recupera quindi il repertorio di una volta, quello che ha reso Moretti un’icona, un marchio di fabbrica riconoscibile, un modello imitato, un esempio da rievocare: le battute glaciali, i dolci e le copertine, le situazioni surreali, i palloni da calcio e le piscine olimpioniche, i camei imprevedibili, i tour di una Roma che è in questo film notturna come non mai.

Di quello che è lungometraggio involontariamente (?) citazionista si può scorgere allo stesso modo una componente volta all’affermazione di chi si è stati e di quel che si è fatto, quasi Moretti sentisse il bisogno di ribadire a se stesso di essere ancora in grado di poter fare un certo tipo di cinema e, in primis, di volerlo. Un film come Il sol dell’avvenire, al di là di chi si spertica a definirlo un capolavoro, è comunque un raggio di luce nel buio del vacuo panorama italiano, anche con quel suo finale troppo frettoloso, anche con tutto quel non detto e lasciato intendere, anche con un’irrisolutezza di fondo che, però, ben rispecchia l’indefinitezza di personaggi privi di punti fermi e marcianti verso un domani che è, sì, vago (quindi minaccioso), ma che apre anche a infinite possibilità. Poco importa se utopiche o illusorie, l’importante è crederci. Come alle fiabe.

Simone Tarditi
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