
71SSIFF: Un silence, l’omertà di una famiglia
September 26, 2023 0 By Simone TarditiPresentato alla settantunesima edizione del San Sebastian Film Festival e in attesa di passare anche all’imminente Festa del Cinema di Roma, Un silence di Joachim Lafosse propone un dramma umano che si articola in due direzioni: quella famigliare e quella giudiziaria. L’ossatura della trama emerge solo al giro di boa, ossia dopo tre quarti d’ora, e verte sul crimine commesso da un uomo, colpevole di essere entrato in possesso e di avere ossessivamente guardato del materiale pedopornografico. Questo è l’elemento che emerge per primo in superficie, ma col tempo iniziano ad affiorare fatti devastanti: all’atto di guardare si sarebbe affiancato quello di realizzare le aberranti fantasie. Le violenze perpetrate avrebbero, a occhi esterni, un peso morale ancora più grave dal momento che l’uomo in questione è un celebre avvocato (Daniel Auteuil). A complicare la situazione vi è un aspetto ulteriore: il figlio di costui, nelle fasi iniziali, lo difende proteggendone i segreti. Ed è solo lui a farlo oppure lo stesso si può dire della moglie e della figlia? Quasi del tutto ambientato di notte o, comunque, nell’ombra della casa dei protagonisti, Un silence è un marchingegno che procede lentamente, per inerzia, raccontando il minimo indispensabile e che deflagra solo nell’ultima mezz’ora, portando alla luce i brandelli di una storia intricata.
Nel film, l’omertà di una famiglia allo sfascio è il codice, interno e condiviso, che quest’ultima adopera per farsi coraggio, resistere alle giornate, andare avanti. C’è del marcio nei personaggi, ma non lo si comprende subito. È un marcio che si sviluppa per contagio, di riflesso, a partire dalla malattia di un membro, il pater familias che, invece, per tradizione, dovrebbe incarnare il modello di riferimento. Quindi, più che di marciume forse sarebbe meglio parlare di una corruzione morale che in Un silence si travasa da un corpo all’altro in forma diversa: come colpa, come peccato, come martirio. Lafosse, però, pretende troppo dal pubblico quando muove i fili della narrazione lasciando intendere piuttosto che spiegare. Certo, è uno stratagemma in linea con la trama stessa: chi osserva il film diventa vittima e complice dei comportamenti dei personaggi e, quando finalmente apre gli occhi e capisce quali atrocità si celano dietro a quelle vite, non può più tirarsi indietro e non vedere. La cinepresa di Un silence indugia sui volti, specie su quello della moglie (Emmanuelle Devos), alla ricerca di segni di rottura, di crepe, come se dietro a una microespressione facciale si celasse qualche verità sepolta.
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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