Soffiando sulle vele di Master & Commander, pensando a The Wager

Soffiando sulle vele di Master & Commander, pensando a The Wager

November 16, 2023 0 By Simone Tarditi

1805, epoca napoleonica, anche gli oceani sono diventati campi di battaglia: a Master & Commander è sufficiente un cartello introduttivo per fornire al pubblico le giuste coordinate tramite cui orientarsi all’interno delle vicende che si svolgeranno nelle successive due ore, da trascorrere quasi per intero a bordo della britannica fregata Surprise. A vent’anni di distanza dalla sua uscita (con scarso successo, nonostante gli sforzi produttivi e nonostante Russell Crowe fosse l’attore del momento), Master & Commander non ha generato i sequel annunciati e ha fatto perdere le sue tracce nella memoria collettiva. Benché di tutt’altra ambientazione, c’è da chiedersi se con The Wager, che dovrebbe essere il prossimo lungometraggio di Martin Scorsese (il suo primo a tema nautico), ci sarà un recupero anche del bel e dimenticato film di Peter Weir, il quale in una recente intervista al Sydney Morning Herald ha comunicato di essersi nel frattempo ritirato dal mondo del cinema (sono, nel frattempo, passati tredici anni da The Way Back, altro titolo bisognoso di una sua riscoperta). Di sicuro non sarà il Napoleon di Ridley Scott, giusto per rimanere nel campo dei registi ottuagenari, a traghettare verso Master & Commander, ma l’impressione che si ha è che ci si potrebbe trovare di fronte a un analogo flop commerciale per via degli elevati costi (oltre duecento milioni di dollari, il budget).

I venti anni intercorsi tra Master & Commander e oggi, per velocità degli sviluppi tecnologici e trasformazioni sul piano individuale (alle certezze novecentesco abbiamo preferito i dubbi del nuovo millenio), fanno sembrare quel mondo dell’altro ieri una creatura ormai estinta. Un mondo irriconoscibile, facente parte di un’epoca superata di gran fretta. Ogni fotogramma del film di Weir lo testimonia: non c’è un’immagine che non sembri provenire da un modo di fare cinema che non esiste più. Posto che ci sia ancora un pubblico per pellicole di questo stampo (e ritorniamo a The Wager, così fuori da ogni possibile mercato e, pertanto, così grande motivo di attesa), quanti metri di nave verrebbero ricostruiti e quanti creati digitalmente? Quanti litri d’acqua verrebbero utilizzati e quanti verrebbero disegnati con la CGI? Riflessioni libere, queste, che non vogliono sembrare per nulla nostalgiche. I nuovi tempi vanno assecondati e, assieme, messi in discussione: il cinema di Scorsese è il perfetto esempio di questo modo di intendere la contemporaneità.

Per ritornare a Master & Commander, averlo dinanzi è come osservare un reperto museale. Pieno di graffi e imperfezioni, a tratti persino difettato, ma pur sempre glorioso, monumentale. I registri narrativi fanno compiere al film dei salti nel racconto pari a quelli che vi si troverebbero in un diario di bordo con delle pagine mancanti. Registri che sono anche puramente visivi, si osservi per esempio il cambio cromatico quando, dopo trenta minuti esatti dall’inizio, per la prima volta l’azione si sposta dal mare aperto su un’isola. Il perno nevralgico rimane sempre la nave, nei riguardi della quale il legame del capitano e dell’equipaggio è simbiotico. Come un animale ferito, essa ha bisogno di cure e riparazioni dopo uno scontro a fuoco. Modifiche strutturali vanno operate quando si rende necessario fornirle capacità “mimetiche”, così da confondere il nemico (l’Acheron, che batte bandiera francese), facendole compiere una metamorfosi volta alla sopravvivenza (al suo tentativo, perlomeno). Le sfide che i protagonisti devono affrontare presuppongono una serie di convincimenti interiori: la fiducia nel buon esito di una battaglia significa in primis l’assenza di una qualsivoglia paura; le maledizioni esistono e vanno scongiurate; la pioggia può essere un dono oppure una sciagura; la terra ferma fornisce conforto, ma non conduce da nessuna parte; il ruolo della scienza passa in secondo piano rispetto all’importanza della guerra; gli sconforti devono sparire di fronte alle difficoltà; il sacrificio del singolo può rendersi necessario per la salvezza collettiva; l’ebbrezza di fronte alle prove da sostenere dev’essere un equilibrio tra sete per la vittoria e alcol nel sangue. Se Master & Commander ha ancora un merito è di aver mostrato quali siano i limiti e i punti di forza del cinema, che, come un corpo, alterna vigore e debolezza, invecchia e ringiovanisce, facendoci porre delle inevitabili domande sul nostro stato.

Simone Tarditi